I
prodigi dal Cielo
Quelle mani che l'uomo
santo e umile in vita si sforzava con ogni diligenza di nascondere per non
mostrare il segreto dei sacri sigilli, operarono dopo la morte di lui
evidenti meraviglie, affinché egli risplendesse come astro lucente fra le
dense tenebre del secolo oscuro. Esse restituivano la salute agli infermi,
sensibilità e vita alle membra ormai paralizzate e inaridite e, cosa
maggiore di tutte, la vita e l'integrità agli uomini mortalmente feriti.
Ricorderò solo alcuni dei molti prodigi.
Ad Ilerda, un uomo di nome Giovanni, devoto di san Francesco,
una sera fu massacrato con ferite così orrende da far credere che a stento
sarebbe sopravvissuto fino all'indomani. Ma gli apparve, in modo
meraviglioso, il padre santissimo; toccò quelle ferite con le sacre mani e
sull'istante lo rese perfettamente sano ed integro.
Nel paese di Monte
Marano, presso Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più nobile per
virtù, si era affezionata con speciale devozione a san Francesco, e lo
serviva con profonda dedizione. Oppressa da malattia ed ormai giunta
all'estremo, seguì la sorte di ogni mortale. Poiché essa morì verso il
tramonto, venne differita la sepoltura al giorno dopo, per permettere alla
numerosa folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte
arrivarono i chierici con i salteri per cantare le esequie e le veglie
notturne, mentre tutt'attorno stava la folla. Ed ecco all'improvviso, alla
vista di tutti, si levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un
sacerdote, suo padrino, dicendogli: «Voglio confessarmi, padre, ascolta il
mio peccato! Io, infatti sono morta ed ero destinata a una dura prigione,
poiché non avevo confessato ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo
san Francesco, a cui fui sempre molto devota pregato per me - essa soggiunse
-, mi è stato permesso dl ritornare in vita in maniera che, confessato quel
peccato, possa meritare il perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti, confessato
il peccato, mi affretterò al promesso riposo». Confessatasi al tremante
sacerdote, e ricevuta l'assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e
si addormentò felice nel Signore. (FF 1381; 863)
Al tempo di papa Gregorio IX, un certo Pietro di Alife,
accusato di eresia, fu incatenato e rinchiuso in un'oscura prigione. Ma
quell'uomo, avendo saputo che si approssimava la vigilia della festa di san
Francesco, incominciò a invocarlo con molte preghiere e lacrime, perché
avesse pietà di lui. E siccome era tornato alla fede sincera, meritò di
essere esaudito dal Signore. La sera della sua festa, sull'imbrunire, il
beato Francesco pietosamente scese nel carcere e, chiamando Pietro per nome,
gli comandò di alzarsi in fretta. Intanto vedeva che, per la presenza
miracolosa del Santo, i ceppi erano caduti infranti ai suoi piedi, le porte
del carcere si aprivano, mentre i chiodi saltavano via da soli, e gli si
spalancava davanti la strada per andarsene. Pietro vedeva tutto questo,
vedeva che era libero: eppure, paralizzato dallo stupore, non riusciva a
fuggire; soltanto si mise vicino alla porta e incominciò a gridare, facendo
spaventare tutte le guardie. Venuto a sapere da loro che il prigioniero era
stato liberato dai ceppi e il modo in cui si erano svolte le cose, il pio
vescovo del luogo si recò nel carcere e là, riconoscendo ben visibile la
potenza di Dio, si inginocchiò ad adorare il Signore. (FF 1291)