Un confessore sempre disponibile
Il luogo centrale dell’apostolato di San Filippo, per più di 44 anni, sarà il confessionale: “Già al mattino molto presto era visitato nella sua camera dai penitenti. Poi si recava in chiesa, dove confessava fino a mezzogiorno sicché chiunque lo voleva, sempre lo trovava disponibile”.
Egli credeva profondamente nel ministero della Riconciliazione e nell’azione della Grazia, e fu questa fede a generare a Cristo innumerevoli figli. Sicuramente aiutavano Filippo le doti caratteristiche della sua personalità, il suo calore umano, la sua costante allegrezza e serenità, la squillante festività che rivestiva ogni suo gesto.
La conseguenza naturale di questo apostolato familiare determinò la nascita dello stesso Oratorio: esso all’inizio non fu altro che un incontrarsi tra amici legati dalla stessa paternità spirituale: “I suoi devoti, andavano il giorno, dopo il pranzo, a san Girolamo, nella sua piccola stanza, dove il beato Padre li tratteneva con qualche discorso sulle cose di Dio, o facendo leggere qualche libro spirituale, sopra il quale faceva discorrere a ciascuno secondo le capacità; e dopo questa dolce et fruttuosa conversazione, andavamo tutti, in compagnia, a spasso in qualche chiesa, specialmente alla Minerva”.
Ma la camera di Padre Filippo non può contenere più di otto persone; egli deve sedersi sul letto per far spazio a qualcuno in più. La nascita dell’Oratorio è da fissarsi allora quando, a motivo dell’aumentare del numero dei partecipanti, è necessario trovare un luogo più grande per potersi incontrare: sarà il granaio della Confraternità della Carità, nella soffitta della Chiesa di San Girolamo.
Un testimone di quegli inizi, Monte Zazzara, aggiunge qualche particolare sul cammino per il quale Filippo conduceva i suoi giovani amici: “La mattina, prima che facesse giorno, andavamo a confessarci da lui e trovavamo la porta sempre aperta… dopo che ci aveva confessati, ci invita a pregare fino all’ora della Messa; dopo ci mandava negli ospedali di San Giovanni, di S. Spirito e della Consolazione per dare da mangiare ai poveri infermi”.
Per Filippo la catechesi, la preghiera e l’ Eucaristia devono spingere all’azione e all’amore concreto verso tutti, soprattutti i più bisognosi. Egli sa che la carità è il banco di prova per saggiare l’autenticità della propria fede.
Per insegnare questo fece una volta al giovane Salviati un bello scherzo… Mentre il suo discepolo era immerso nella preghiera, incaricò uno dei suoi ragazzi a togliergli senza farsene accorgere il mantello, sostituendolo con un grambiule. La cosa riuscì alla perfezione e quando al termine dell’adorazione il Salviati uscì sbigottito dalla Chiesa, Filippo ammonì lui e gli altri dicendo: “Carissimi, pregare va bene, ma la preghiera deve accompagnarsi con la carità. Se lasci Cristo nel Santissimo Sacramento non preoccuparti: lo ritroverai negli ammalati e nei poveri!”.
La Confraternita dei pellegrini
Proprio per aiutare i malati e i bisognosi Filippo, con l’aiuto del Rosa, diede inizio alla Confraternita dei “Pellegrini”. Essa, in occasione del Giubileo del 1550 svolse una grande opera di accoglienza ai viandanti provenienti da tutta Europa che, stremati dal lungo cammino, giungevano malati a Roma. Molti di essi, come nella parabola evangelica, durante il viaggio erano incappati nei briganti che li avevano feriti e depredati. Filippo e i suoi, come buoni samaritani, li aiutavano a recuperare la salute e anche qualche denaro per poter far ritorno alla loro patria. Per raccogliere fondi andavano per l’elemosina, bussando alla porta di chi poteva dare generosamente e di chi, ancor più generosamente, voleva condividere il poco che aveva. La Confraternita giunse ad ospitare fino a 500 pellegrini al giorno. Sull’esempio del Santo anche molti nobili ed ecclesiastici si inchinarono per lavare i piedi ai loro fratelli, riscoprendo la purezza del messaggio evangelico: “Il Figlio dell’Uomo è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”.