Medico, cura te stesso

Se Filippo faceva di tutto per inculcure ai suoi discepoli la virtù dell’umiltà egli per primo cercava di viverla, sforzandosi di tenersi in bassa considerazione e di mostrarsi stolto agli occhi altrui. Una volta a casa della Marchesa Rangona la nobildonna gli chiese da quanti anni avesse “lasciato il mondo”. “Non l’ho mai lasciato”, rispose prontamente il Santo…

A volte, quando nobili o prelati lo andavano a visitare,  egli si faceva trovare agghindato nei modi più buffi: berretto rosso, scarpette bianche, giacche trasandate. Invece dei discorsi spirituali che si aspettavano da un Santo iniziava a raccontare loro barzellette o a leggere le novelle del Pievano Arlotto. Componeva anche strofe burlesche, che poi narrava con enfasi davanti agli spettatori. Una di esse diceva così:

Io sono un cane che rodo un osso

perché la carne roder non posso!

Se verrà tempo che posso baiare

farò pentir chi non mi lascia stare!

 

Anche quando andava a passeggio per Roma ne combinava di tutti i colori. Una volta si fece tagliare la barba a metà e così conciato camminava serio e a testa alta. Altre volte portava al guinzaglio strani animali o fra le braccia mazzi di fiori vistosi e al collo una pelliccia di martora che gli avevano regalato per riscaldarsi. Al passo vanitoso alternava il passo di danza e il balletto. I discepoli, che dovevano accompagnarlo in questi cortei carnevaleschi imparavano dal maestro l’arte di schernirsi. Quando uno di essi gli suggerì di non comportarsi in modo così disonorevole si beccò un grosso scappellotto.

Tra la gente chi capiva rimaneva edificato. Chi non capiva…, non capiva…

L’umiltà di Filippo non era artefatta ma sincera: una volta il medico Angelo Vettori lo trovò seduto che piangeva sopra un libro. Quando gli chiese la ragione di quelle lacrime si sentì rispondere: “Vedi, questo santo di cui sto leggendo la vita ha lasciato tutto per seguire il Signore e io invece non ho fatto mai nulla di buono”. Anch’egli, come san Francesco al termine della sua vita, si sentiva di aver solo perso tempo e di dover ancora iniziare a servire degnamente il Signore.

 

Profumo di virtù e puzza di peccato

Noi siamo il profumo di Cristo”, dice san Paolo ai Cristiani di Corinto. Chi ha un po’ di dimestichezza con la letteratura agiografica sa che questa frase dell’apostolo delle genti non è solo una metafora. Nel corso dei secoli sono stati numerosi i santi che emanavano dal loro corpo profumi deliziosi. Il primo di cui si ha memoria è il martire Policarpo, il più recente e famoso san Pio da Pietrelcina.

Anche san Filippo, raccontano i testimoni, profumava di santità. Fabrizio d’Aragona racconta che si era recato a trovare il Santo mentre giaceva sul letto ammalato e per questo sentiva una cerca ripugnanza ad accostarsi a lui. Filippo sorridendo lo chiamò vicino a sé e lo abbracciò. In quel momento sentì un odore così soave che lo lasciò stupefatto.

L’abate Maffa raccontò ai processi che quando si avvicinava a lui per confessarsi sentiva dalla sua persona uscire un profumo inebriante.

Lo stesso aspetto fisico del santo lasciava trasparire il suo stato di grazia. Giovenale Ancina lo descrive così: “Il Padre Filippo è un vecchio bello e pulito, tutto bianco che pare un armellino; quelle sue carni sono gentili e verginali, e, se alzando la mano la contrappone al sole, traspare come un alabastro”.

Dal volto di Filippo traspare la ricchezza del suo mondo interiore di cui gli occhi sono lo specchio. Fabrizio de’ Massimi, che visse per molti anni vicino al Santo lo ricorda in questo modo: “Era tale la purità del Beato Filippo che si manifestava anche nel viso e negli occhi che egli aveva vivaci come quelli d’un giovanetto. Nessun pittore è riuscito a ritrarli, anche se molti vi hanno provato”.

Come in mezzo ad una pagina bianca una macchia di inchiostro non si può nascondere, così anche di fronte al candore di Filippo i peccati dei suoi penitenti non avevano possibilità di mimetizzarsi. Bastava che si accostasse a lui qualche peccatore incallito che subito se ne accorgeva: “Fratello, sento l’odore dei tuoi peccati. Puzzi di atti impuri”.

Ad un giovane che si vergognava di rivelare i propri vizi il Santo iniziò ad enumerarli ad uno ad uno. Di fronte al suo stupore Filippo gli spiegò: “Riconosco i peccati al fiuto e il mio naso li riconosce dall’odore”. Così erano numerosi quelli che si sentivano dire a bruciapelo: “Figlio, hai l’anima un po’ sporchetta. Non perdere tempo: vatti subito a lavare”.

 

 

Pirati e bilocazione

Nel 1582 Marcello Ferro, uno dei primi convertiti da san Filippo, fu inviato dal viceré di Sicilia a svolgere una missione segreta a Costantinopoli. Durante il viaggio di ritorno, nelle vicinanze dell’isola di Cipro, la nave in cui viaggiava fu attaccata dai pirati. Tutti i passeggeri furono colti dal panico e ognuno di essi cercava inutilmente di nascondersi per evitare la morte o la schiavitù. Alcuni preferirono gettarsi in mare pur di non cadere nelle mani dei corsari.

Il Ferro, anche lui terrorizzato, iniziò a invocare il suo Padre Filippo insieme a tutti santi del Cielo. Mentre si era rannicchiato dietro un nascondiglio vide avvicinarsi la figura del suo confessore che gli disse: “Non preoccuparti Marcello, non sarai fatto schiavo”. Rincuorato dalla visione il Ferro trovò il coraggio di uscire dal suo nascondiglio e di mettersi in fila tra gli altri prigionieri. Mentre alcuni soldati avevano già iniziato a legarlo con le catene per poi venderlo come schiavo in qualche mercato arabo, il capitano dei pirati disse ai suoi: “Lasciate stare quel vecchio. Sarebbe più di peso che di guadagno. Non vale la pena perdere tempo con lui”. E lo lasciarono libero.

Nello stesso momento all’Oratorio Filippo si rivolse ai suoi dicendo: “Preghiamo per Marcello Ferro, che si trova in grave pericolo”.

Quando l’uomo raggiunse Roma, si recò subito all’Oratorio e i suoi amici gli chiesero cosa gli fosse successo in quei giorni. Egli raccontò le sue peripezie e allora fu chiaro a tutti perché Filippo li aveva invitati a pregare e come era potente la sua intercessione presso Dio.