Lingue velenose e piume al vento
Dice San Giacomo nella Sacra Scrittura che la lingua è un piccolo organo, ma se usata male può fare molti danni, così come un piccolo fuoco può crescere e bruciare un’intera foresta. Filippo cercava di correggere a suo modo il grave vizio della mormorazione e della maldicenza. Una donna si recava spesso da lui, sempre confessando lo stesso errore. Cercava di giustificarsi dicendo: “Sono così abituata che nemmeno me ne accorgo”. Il Santo ideò un sistema per farle acquistare consapevolezza della gravità di quel peccato: “Devi fare questa penitenza. Va al mercato e compra una gallina morta e lungo il cammino spennala per bene. Poi torna qui”. La penitente obbedì alle strane indicazioni e si ripresentò al confessionale di Filippo. “Ora tornate nelle vie dove siete passata e raccogliete tutte le piume, senza lasciarne nessuna”. “Ma Padre – rispose la donna – come farò? Chissà il vento dove le ha portate!”. “E’ lo stesso delle vostre chiacchiere…- concluse il Santo -. Anche le vostre parole velenose sono arrivate dappertutto e chissà quanto danno hanno fatto, senza potervi più porre rimedio”…
Peccatori poco pentiti
Come a tutti i confessori anche a Filippo capitava di incontrare penitenti poco rattristati per i propri peccati, se non addirittura desiderosi di farne di più grandi. Uno di essi narrava agli amici le sue colpe come fossero prodezze. Il Santo, dopo averlo ascoltato, lo avvicinò complimentandosi: “Bene… Bravo… Bravissimo! Complimenti, non ti credevo così sveglio. Continua così, che non ti capiterà più un’altra occasione come questa per finire all’inferno a far compagnia al diavolo”. Il penitente arrossì e Filippo continuò a dirgli, tra il serio e lo scherzoso: “Che fai, vuoi smettere? Seguita pure che hai l’occasione di stare insieme a satana per tutta l’eternità”. Il giovane capì la lezione e si confessò sinceramente.
Ad un altro ragazzo che si era recato al confessionale più per passare il tempo che per chiedere perdono delle sue colpe, il Santo tirò questo scherzo. “Scusami – gli disse – ma devo allontanarmi un attimo per degli impegni. Tu intanto preparati alla confessione guardando questo crocifisso”. Il giovane rimase solo con il crocifisso che il Santo gli aveva messo tra le mani e iniziò a riflettere: “Chissà chi è questo crocifisso e perché è stato ucciso. Che lo abbia fatto per me, per cancellare i miei peccati?” E a questo pensiero si sciolse in lacrime. Filippo, che era rimasto a guardarlo da lontano, gli corse incontro come il Padre al Figliol Prodigo e lo strinse tra le sue braccia: “Ora si che meriti l’assoluzione: và, figlio mio, e non peccare più!”.
Una Santa falsa e una vera
In un convento romano una monaca stava acquistando fama di grande santità. Si era sparsa la voce che fosse piena di carismi e che operasse miracoli e prodigi in grande quantità. Il Papa volle sincerarsi dell’autenticità di queste virtù e inviò padre Filippo a sincerarsene. In un giorno pieno di pioggia Filippo si incamminò per le vie fangose di Roma e giunse al monastero, chiedendo di poter parlare con la monaca ritenuta santa.
“In che cosa posso servirla?”, esclamò la suora. Il Santo, comodamente seduto su una sedia, con fare distratto le disse: “Mi servirebbe che mi toglieste queste scarpe infangate e che le puliste per bene”. La suora rispose con fare altezzoso: “Come vi permettete di dirmi certe cose?”, e andò via sdegnata. Tornando il giorno dopo a riferire al Santo Padre della sua missione disse: “Santità, quella suora non può far miracoli con l’aiuto di Dio, perché le manca la virtù fondamentale: quella dell’umiltà”.
Di tutt’altra pasta spirituale era invece Suor Orsola Benincasa. Mentre si trovava in chiesa a pregare il Signore le ordinò di recarsi dal Papa per incoraggiarlo a provvedere con coraggio alla riforma della Chiesa. Gregorio XIII la ricevette e ascoltò le sue parole con attenzione. Poi incaricò anche questa volta San Filippo di verificare meglio il caso. Egli convocò la donna e di fronte ad altri prese a sgridarla nel peggiore dei modi: “Tu, piccola villana pretenderesti di riceve dal Signore una rivelazione e di trasmetterla poi al Papa? Sei solo superba e ipocrita!”. La giovane monaca, senza scomporsi, rispose serena: “E’ vero, sono quella che voi dite. Pregate per me perché possa correggermi dai miei tanti difetti”.
Filippo, convinto della sua virtù, le disse: “Ora ti ordino di ripetere contro di me tutte le offese che ti ho fatto”. “No padre, non lo farei mai, perché lei ha detto solo la verità”, rispose umilmente la suora. L’incontrò finì con un abbraccio e una benedizione di Filippo per quella che doveva divenire la fondatrice delle Suore Teatine: “Non temere, d’ora in poi non avrai più fastidi. E un giorno passeggeremo insieme in Paradiso”. Le regalò poi una sua berretta, che ancora si conserva come preziosa reliquia nel convento di Sant’Elmo a Napoli.