Una Roma spopolata
La Roma in cui Filippo si muove e opera non è quella delle glorie passate. E’ una città quasi completamente spopolata, con poco più di cinquantamila abitanti. Le ferite inferte dai Lanzichinecchi sono ancora aperte. Numerose sono le chiese e i palazzi nobiliari, ma tanti sono anche i ruderi e le rovine dove si rifugiano poveri d’ogni specie; il popolino riesce a vivere decentemente perché a servizio delle famiglie patrizie e dell’alto clero. Pochi sono quelli che lavorano realmente: operai edili, artigiani, piccoli bottegai. Molti invece gli oziosi, specie fra i giovani, distinti in due categorie: quelli con le spalle coperte da rendita sicura e quelli che si arrabattano inventandosi qualcosa per sopravvivere. Ai margini vagabondi e accattoni, che vivono con i peggiori espedienti. Il quartiere dove si muove Filippo non è certo tra i migliori: numerose le donne che esercitano un mestiere tanto antico quanto squallido, accompagnate da protettori, strozzini e borsaioli.
La Tentazione delle Indie
Grandi erano quindi i bisogni di questa città malata, ma numerose e affascinanti erano anche le lettere che giungevano dall’India, dove San Francesco Saverio, il coraggioso gesuita, si era spinto ad annunziare il Vangelo. Esse parlavano di quelle fantastiche terre in cui milioni di uomini vivevano da pagani perché nessuno portava loro la Buona Novella. Di fronte a questa forte testimonianza missionaria Filippo fu preso anche lui dall’idea di partire per il lontano Oriente ma, prima del viaggio, volle consultarsi con un uomo di Dio per verificare l’autenticità di quella ispirazione. Si recò allora al monastero delle Tre Fontane per parlare con il certosino Agostino Ghettini. Il monaco, dopo averlo ascoltato, si ritirò in preghiera e poi diede a Filippo questa risposta: “San Giovanni Battista mi ha rivelato che le tue Indie sono Roma”. Il Santo tornò con rinnovato ardore in città, convinto che convertire Roma sarebbe stata la sua vera missione.