La mattina dopo Sophie andò all'Università un po' prima del solito. Prese la via piú lunga e percorse tutta la Ludwigstrasse. Ecco finalmente che v'era scritto a lettere grandi e ben visibili: ABBASSO HITLER! ABBASSO HITLER!...
Giunta all'Università, Sophie vide la scritta: LIBERTÀ, tracciata con lo stesso colore sopra l'ingresso. Due donne si affaccendavano per cancellare quella parola con sabbia e spazzole. «Lasciate stare», disse Sophie, «lo si deve leggere; è stato scritto per questo». Le donne la guardarono scuotendo il capo. «Noi non comprendere». Erano due russe deportate in Germania per il lavoro forzato.
Mentre le autorità, furenti, facevano cancellare a gran fatica dalla Ludwigstrasse l'invocazione alla libertà che vi si era smarrita, la scintilla era scoccata anche a Berlino. Uno studente di medicina, amico di Hans, s'era assunto il compito di costituire anche colà un centro di resistenza, e di riprodurre e diffondere i fogli volanti redatti a Monaco.
Anche a Friburgo si erano trovati studenti i quali, spronati dal coraggio di quelli di Monaco, si decisero ad agire. Una studentessa aveva portato qualche tempo dopo un foglio volante anche ad Amburgo; e anche li ci fu un gruppetto di studenti che lo raccolsero e lo diffusero.
Cosí le cellule avrebbero dovuto estendersi una dopo l'altra (pensavano Hans e í suoi amici) nelle grandi città, dalle quali lo spirito della resistenza si sarebbe dovuto irradiare per ogni dove.
Si tentava ancora di eliminare le tracce delle scritte dipinte sulle strade; da ultimo si dovettero coprire con della pece. Ma il professor Huber stava già abbozzando un nuovo foglio volante, rivolto questa volta principalmente agli studenti.
Mentre egli e Hans si sforzavano ancora per formulare adeguatamente i concetti di questo appella, ai quali intendevano infondere tutta la tristezza e lo sdegno dell'oppressa Germania, Hans ricevette in modo strano un avvertimento: la Gestapo era sulle sue tracce, ed egli doveva calcolare di venire arrestato nei prossimi giorni. Egli inclinava a non tener conto di questo oscuro avvertimento. Dei benintenzionati cercavano forse di distoglierlo in tal modo dall'azione che stava svolgendo. Ma proprio la mancanza di chiarezza e l'ambiguità della cosa fecero sorgere una grande incertezza nel suo animo.
Non poteva gettarsi alle spalle tutta quella vita difficile in patria, continuamente minacciata, e rifugiarsi in un paese libero, in Svizzera? Varcare illegalmente la frontiera non costituiva un problema per un conoscitore della montagna ed uno sportivo resistente come lui. Non s'era forse trovato piú volte al fronte in situazioni in cui il suo sangue freddo e la sua presenza di spirito lo avevano salvato?
Ma cosa ne sarebbe stato allora dei suoi amici, e dei suoi congiunti? La sua fuga avrebbe attirato subito i sospetti su di loro; ed egli sarebbe poi dovuto stare a guardare dalla libera Svizzera come venivano trascinati davanti al Tribunale del popolo e nei campi di concentramento. Non avrebbe mai potuto sopportarlo. Mille legami lo avvincevano; e il satanico sistema era cosí abilmente congegnato, che, se egli vi si fosse sottratto, avrebbe messo a repentaglio cento vite umane. Egli solo doveva assumersi la responsabilità. Doveva rimanere in patria per circoscrivere, nei limiti del possibile, la sciagura e prenderla tutta sopra di sé, se si fosse scatenata. Nei giorni successivi Hans si gettò con raddoppiato zelo nell'opera. Trascorse una notte dopo l'altra accanto al ciclostile, assieme a Sophie ed ai suoi amici, nella cantina dello studio. Il dolore e la scossa cagionati dalla battaglia di Stalingrado
non dovevano spegnersi nel grigiore indifferente della vita quotidiana, fino a quando non fosse stato dato un segno il quale mostrasse che non tutti i tedeschi erano disposti ad accettare ciecamente quella guerra criminale. In un giovedí pieno di sole (era il 18 febbraio del 1943) il lavoro era cosí avanzato, che Hans e Sophie poterono riempire una valigia di fogli volanti prima di andare all'Università. Erano ambedue contenti e di buon animo quando si avviarono con la valigia verso l'Università; sebbene Sophie durante la notte avesse fatto un sogno di cui non riusciva a scacciare il ricordo: era comparsa la Gestapo e li aveva tratti entrambi in arresto. I due fratelli erano appena usciti di casa, quando sonò il campanello: era un amico il quale doveva d'urgenza metterli in guardia. Non riuscendo ad appurare in nessun modo dove fossero andati, si fermò ad attenderli. Tutto dipendeva forse da quel messaggio. Frattanto Hans e Sophie erano giunti all'Università. E poiché le aule dovevano aprirsi pochi minuti dopo, distribuirono, con rapida decisione, i fogli volanti nei corridoi, e vuotarono il residuo contenuto della loro valigia dall'ultimo piano nell'atrio dell'Università. Stavano già per uscire, sollevati. Ma due occhi li avevano spiati: due occhi non piú legati al cuore della persona cui appartenevano, e che si erano trasformati in automatiche lenti della dittatura: erano gli occhi del custode. Tutti gli ingressi dell'Università vennero subito chiusi; e cosí il destino dei due
fratelli fu segnato. La Gestapo, chiamata immediatamente, condusse i miei fratelli in carcere, nel famigerato palazzo Wittelsbach. Incominciarono gli interrogatori, che durarono giorni e notti, ore e ore. Erano tagliati fuori dal mondo, privi di qualsiasi contatto con gli amici, e non sapevano se non fosse toccata la stessa sorte anche a qualcuno di loro. Sophie apprese da una compagna di cella che Christi Probst era stato tratto in arresto anche lui, poche ore dopo di loro. Per la prima volta perdette il dominio di sé e stava per essere sopraffatta da una terribile disperazione. Christi, proprio Christi, che avevano cercato con ogni mezzo di risparmiare, perché era padre di tre bambini in tenera età. E sua moglie Herta aveva avuto in quei giorni il terzo. Sembrò a Sophie di rivedere Christi come lo aveva veduto andandolo a trovare insieme a Hans, in una giornata settembrina piena di sole, nella sua casetta posta fra i monti dell'alta Baviera: teneva in braccio il figliuoletto di due anni e guardava come ammaliato quel pacifico viso infantile. La sua esile, coraggiosa moglie non riusciva quasi piú a credere di poter avere un po' di quiete fra le pareti domestiche; i suoi due fratelli erano dovuti fuggire alcuni anni prima, in piena notte, davanti alla Gestapo, e nessuno sapeva con certezza se fossero ancora vivi. « Se c'è ancora un briciolo di onestà nel paese », pensò disperata Sophie, « non può e non deve accadere nulla a Christi» .