In casa si era fatto un grande silenzio. Ma era bello lo stesso, e Sophie si godette la vita di famiglia. Questa era come una navicella che navigasse con costanza e tenacia nel mare profondo e irto di pericoli di quell'epoca. Come una navicella, che però a volte sussultava e tremava; come una piccola, minuscola imbarcazione in balía di onde oscure e infide, che non consentivano di vedere il fondo.
Durante un temporale, in compagnia di un ragazzetto che abitava nello stesso casamento e al quale era molto affezionata, Sophie era salita sulla piccola piattaforma esistente sul tetto dello stabile, per salvare in fretta e furia il bucato, steso ad asciugare, dall'acquazzone che stava per scatenarsi. Al fragore di un forte tuono, il fanciullo le lanciò un'occhiata densa di paura; e allora ella gli indicò il parafulmine. Dopo che gli ebbe spiegato a cosa servisse, il piccolo le chiese: « Sa il buon Dio che esiste il parafulmine? » «Conosce tutti i parafulmini, e anche molte altre cose; altrimenti non starebbe in piedi neppure una casa su questa terra. Non aver paura».
La mamma riceveva di quando in quando la visita delle sue vecchie amiche, le diaconesse di Schwábisch‑Hall, dove esisteva una grande casa di salute per bambini malati di mente. Un giorno capitò una delle sorelle: era triste e abbattuta, e non sapevamo come rincorarla. Alla fine ci raccontò perché fosse tanto addolorata. Da qualche tempo dei neri camion delle SS deportavano a drappelli i suoi protetti, e li gassavano. Una strana inquietudine si era impossessata dei bambini dell'istituto al vedere che i primi scaglioni di fanciulli non avevano fatto ritorno dal loro misterioso viaggio. « Dove vanno quei camion, zia? » « Vanno in cielo », rispondevano le sorelle, sconcertate e impotenti. Da allora i bimbi salivano cantando sui furgoni sconosciuti.
«Solo passando sul mio cadavere», aveva detto uno dei medici di un istituto del genere. Non si sa cosa ne sia stato di lui.
Un soldato venne in licenza dal fronte russo. Era il padre di uno di quei bimbi e aveva motivo di sperare che avrebbe riacquistato la ragione. Amava quell'esserino come si può amare solo il proprio figlio. Ma quando tornò dalla Russia, questi non era piú in vita.
Una fortunata combinazione aveva fatto sí che Hans fosse destinato nello stesso settore del fratello minore. Quale non fu la gioia e la sorpresa di Werner quando, nella sconfinata Russia, d'un tratto davanti alla trincea una voce ben nota chiese di lui.
Hans apprese la notizia della condanna del babbo in una luminosa giornata di fine estate, dal cielo azzurro. Prese un cavallo e si avviò subito verso la zona dove si trovava Werner. « Ho ricevuto una lettera da casa », disse, e la porse al fratello minore. Questi la lesse senza dire nulla. Guardò lontano con gli occhi socchiusi, tacendo. Hans ebbe allora un gesto insolito: pose una mano sulla spalla del fratello e disse: « Dobbiamo sopportare questa prova in modo diverso dagli altri. È un onore ».
Poi tornò lentamente alla sua compagnia. Provava una infinita tristezza e al tempo stesso una profonda pace. I ricordi si affollavano alla sua mente.
Il treno che li portava al fronte aveva sostato per alcuni minuti in una stazione polacca. Sul terrapieno della ferrovia aveva scorto delle donne e delle giovani con in mano delle accette, curve e intente a dei lavori pesanti, da uomo. Portavano sul petto la stella gialla di Sion. Hans saltò giú dal finestrino e si avvicinò alle donne. La prima della fila era una giovinetta smunta, dalle mani sottili; aveva un bel viso intelligente, soffuso di una indicibile tristezza. Non aveva con sé nulla che potesse donarle? Gli venne in mente la sua " razione di riserva " (un misto di cioccolata, uva passa, e noci) e gliela porse. La giovane gli gettò il pacchetto ai piedi, con un gesto da belva inseguita, e tuttavia infinitamente altero. Hans lo raccolse, le sorrise guardandola in viso, e disse: «Avrei tanto voluto darle un po' di gioia». Poi si chinò, colse una margherita e la depose ai piedi della giovane assieme al pacchetto. Ma in quel mentre il treno si mosse, ed egli vi saltò sopra con alcuni lunghi balzi. Riuscí a vedere dal finestrino che la ragazza se ne stava immobile a guardare il treno, con la bianca margherita fra i capelli.
Poi Hans rivide con gli occhi della mente lo sguardo di un vegliardo ebreo il quale, ultimo di una lunga fila, andava ai lavori forzati. Il suo volto fine, tipico dello studioso, aveva un'espressione di dolore cosí abissale quale Hans non aveva mai veduto. Non sapendo cosa fare, prese il pacchetto di tabacco che aveva in tasca e lo mise furtivamente in mano al vecchio. Non avrebbe mai dimenticato l'improvvisa e fuggevole espressione di felicità che si accese d'un tratto in quegli occhi.
Poi ripensò a un mattino primaverile trascorso in un ospedale militare, a casa. Uno dei feriti avrebbe dovuto essere dimesso quel giorno: erano riusciti a rimetterlo in piedi magnificamente. Tuttavia, inspiegabilmente, la ferita riprese a sanguinare poco prima del momento di lasciare l'ospedale; e i medici non riuscivano ad arrestare il flusso. La ferita si trovava vicino alla carotide, e non c'era altro da fare che cercare l'aorta e premerla forte. Ma tutti gli sforzi furono inutili, e l'uomo morí dissanguato sotto le mani dei medici. Hans uscí dalla stanza sconvolto. Nel corridoio incontrò la giovane moglie del militare, venuta a prendere il marito; bella, fiorente, felice nell'attesa; con fra le braccia un grande mazzo di fiori multicolori. Quando, quando lo Stato avrebbe finalmente compreso che non vi sarebbe dovuto essere nulla di piú importante di quel po' di felicità per milioni di persone modeste? Quando avrebbe finalmente desistito da quelle ideologie che non tenevano conto alcuno della vita, della vita spicciola, di ogni giorno? E quando si sarebbe reso conto che il passo meno appariscente e piú penoso verso la pace, per il singolo come per i popoli, era piú importante della massima vittoria riportata in combattimento?
I pensieri di Hans si rivolsero al babbo, che si trovava in carcere.
Allorché, nel tardo autunno del 1942, Hans ritornò dalla Russia insieme ai suoi amici, anche il babbo era di nuovo in libertà.
Le esperienze fatte al fronte e negli ospedali militari avevano maturati e resi piú uomini Hans e i suoi amici. Avevano palesato loro in modo ancor piú persuasivo ed evidente la necessità di opporsi al regime e alla sua terribile follia di sterminio. Gli amici avevano visto come laggiú si mettessero a repentaglio e si sprecassero in misura incredibile le vite umane. Dal momento che si doveva rischiare la vita, perché non farlo contro l'ingiustizia che gridava vendetta al cielo?
Ora erano tornati; ora intendevano tradurre in atto la decisione presa in quella serata di addio.
Vicino all'abitazione dei miei fratelli c'era una casetta che dava su un cortile, con un grande studio per artista. Un artista, molto legato al gruppo di amici, l'aveva messa a loro disposizione quando era dovuto partire per il fronte. Nessun altro abitava in quella casetta. Gli amici vi si incontravano ora spesso. A volte si riunivano di notte, a lavorare col ciclostile per delle ore nella cantina dello studio. La loro pazienza fu messa a dura prova per tirare migliaia e migliaia di copie. Provavano però una profonda soddisfazione nell'uscire finalmente dall'inerzia e dalla passività per darsi da fare. Devono avere trascorso piú di una notte allegramente, lavorando cosí. Questa loro gaiezza era tuttavia velata da una nube di gravissima preoccupazione. Sentivano il dolore di essere terribilmente soli, e che forse i loro migliori amici si sarebbero ritirati atterriti, se lo avessero saputo. Il semplice essere a conoscenza della cosa costituiva un pericolo terribile. Erano perfettamente consci, in quelle ore, di camminare sull'orlo di un precipizio. Come potevano sapere se la polizia non fosse già sulle loro tracce, se i vicini che li salutavano con aria innocente non avessero già fatto dei passi per prenderli tutti in trappola? E se qualcuno li avesse seguiti per strada, per sorvegliare le loro mosse? Come sapere se non avessero già preso le loro impronte digitali? Il solido selciato della città era divenuto friabile; li avrebbe sostenuti ancora domani? Ogni giornata che finiva era un dono della vita, e ogni notte che sopravveniva recava la preoccupazione per l'indomani; e solo il sonno era una pietosa coltre. L'ardente desiderio di abbandonare per un istante la dura, pericolosa attività, e di essere liberi e di nuovo senza preoccupazioni, si impadroniva a volte di loro con grande intensità. C'erano degli istanti e delle ore in cui l'impresa pareva loro troppo gravosa, e l'incertezza e la paura li sommergevano come le onde del mare e seppellivano il loro coraggio. Allora non rimaneva loro altro che discendere nel profondo del loro cuore, lí dove una voce diceva loro che agivano rettamente e che avrebbero dovuto agire cosí anche se fossero stati soli al mondo. Credo che in quelle ore abbiano potuto parlare liberamente con Dio, con Colui che seguivano a tentoni nella loro giovinezza, e che cercavano in ogni loro indagine, in ogni attività. Cristo divenne per essi in quel periodo il singolare, grande fratello che era sempre vicino, ancor piú vicino della morte, identificandosi con la via che non consentiva ritorno, con la verità che dava una risposta a tante domande; e la vita, tutta la meravigliosa vita.
Un'altra importante attività cui si dedicavano era, oltre che la preparazione, la diffusione dei fogli volanti. Dovevano arrivare nel maggior numero possibile di città, agire nel raggio piú vasto. Hans e i suoi amici non avevano mai fatto nulla di simile prima d'allora. Dovevano escogitare e sperimentare tutti i mezzi. Quali possibilità c'erano di far giungere quei fogli volanti alla gente? In quali punti e in quali località bisognava deporli perché venissero scoperti dal maggior numero possibile di occhi, senza però che si potessero trovare le tracce che conducevano ai responsabili? Li mettevano in valigie e andavano personalmente, con la loro pericolosa merce, nelle grandi città della Germania meridionale per diffonderli anche lì: a Francoforte, Stoccarda, Vienna, Friburgo, Saarbriicken, Mannheim, Karlsruhe.
Dovevano depositare i loro bagagli sui treni in punti ove passassero inosservati; dovevano portarli con sé senza che nessuna delle numerose pattuglie dell'esercito, della polizia criminale e perfino della Gestapo (la quale ispezionava i treni e a volte anche le valigie) li notasse. Al loro arrivo nelle varie città, dove giungevano spesso di notte e durante gli allarmi aerei, dovevano cercare di condurre a termine il loro compito con abilità e in modo che ne valesse la pena. Quale vittoria condurre felicemente a termine un viaggio del genere e poter dormire in treno sollevati e come liberati da un peso, mentre la valigia, vuota, se ne stava con aria innocente nella reticella! E quanta preoccupazione per ogni sguardo che si appuntasse sopra il viaggiatore! Quale spavento provavano ogni volta che qualcuno si avvicinava loro, e quale sollievo quando passava oltre! Il cuore e la mente, l'anima e l'intelligenza erano tesi senza sosta per vedere se si fosse pensato a ogni possibilità di nascondere le tracce. I successi e le gioie si alternavano alle preoccupazioni e ai crucci, ai dubbi e ai rischi; e cosí passavano i giorni.
Sempre piú spesso comparivano sui giornali brevi notizie di condanne a morte emesse dal Tribunale del popolo contro dei singoli, colpevoli di essersi ribellati ‑ foss'anche solo a parole ‑ al demoniaco tiranno che spadroneggiava sul loro popolo. Oggi era la volta di un celebre pianista, domani quella di un ingegnere, di un operaio o del direttore di una fabbrica. Poi toccava a un sacerdote, a uno studente o a un alto ufficiale come Udet, il quale precipitò con l'aereo proprio quando cominciava a dar noia. C'era gente che scompariva silenziosamente, spegnendosi come candele nella tempesta. E a chi non poteva scomparire in silenzio venivano riserbate esequie a spese dello Stato. Ricordo ancora benissimo i funerali di Rommel. Benché tutti sapessero che gli sbirri di Hitler lo avevano costretto ad uccidersi, erano stati mobilitati tutti coloro che a Ulma possedevano l'uniforme bruna, per assistere alla cerimonia, dal piú piccolo membro della Gioventú hitleriana al piú anziano milite delle SA. Ricordo ancora come sgattaiolai vicino alle bandiere per non doverle salutare.
Le ultime pagine dei giornali erano piene degli annunci mortuari dei caduti, dalle caratteristiche croci di ferro. I quotidiani sembravano cimiteri. Solo la prima pagina aveva un carattere diverso, contraddistinta com'era da titoli a caratteri cubitali, quasi insopportabili, quali «L'odio è la nostra preghiera, e la vittoria la nostra ricompensa». E quei titoli erano sottolineati con grosse righe rosse, che sembravano delle vene turgide d'ira.
« L'odio è la nostra preghiera... ». « Continueremo a marciare quando tutto cadrà a pezzi... ».
I giornali erano come tanti campi minati. Non faceva bene a nessuno di percorrerli. Tutta l'epoca era come un campo minato, e lo era tutta la Germania, povera, cara patria, immersa nel buio. I giornali erano reticenti e laconici, ma non solo per la scarsità di carta. Avevano il compito di contribuire ad ottenebrare completamente lo spirito tedesco. Non fecero minimamente cenno di quel parroco di campagna che era stato tratto in arresto perché aveva pubblicamente compreso nel Pater noster domenicale un prigioniero di guerra che, assegnato al suo villaggio per il lavoro obbligatorio, era stato ammazzato.
Non dicevano una parola del fatto che ogni giorno venivano pronunciate non una, ma dozzine di sentenze di morte. Il bollettino settimanale dei fatti piú importanti non guardava certo nelle prigioni, che quasi scoppiavano, tanto erano zeppe, benché i loro abitatori somigliassero a ombre e a scheletri piú che a corpi umani. Non vedevano i pallidi volti di là dalla grata, non udivano il battito dei cuori né il muto grido che percorreva tutta la Germania.
Non accennarono alla giovane donna che errò per tutta Dresda, dopo un attacco aereo, reggendo una valigetta contenente il solo bene che le fosse rimasto, il suo figliuoletto morto, in cerca di un cimitero ove seppellirlo. Non potevano neppure essere al corrente del caso capitato ad un soldato tedesco in piena Russia, sconvolto a un tratto dall'orrore per aver veduto una madre camminare senza paura fra le opposte linee nemiche, trascinandosi dietro per mano decisa il figliuoletto morto, dal quale non voleva separarsi, nonostante le piú pazienti esortazioni.
Né i giornali potevano ascoltare la conversazione svoltasi fra un amico di mio padre e un ecclesiastico che aveva cura spirituale dei carcerati, in una stazione climatica ove questi stava riavendosi da un collasso nervoso: aveva dovuto accompagnare al patibolo non meno di sette condannati ogni giorno.
I giornali non avevano visto neanche il viso illividito e mortalmente triste di quel carcerato che, dopo aver scontato la pena inflittagli, s'era presentato tutto raggiante al portone del carcere per ritirare il foglio di rilascio e i suoi pochi e modesti oggetti personali; e s'era visto invece recapitare una sentenza di assegnazione a un campo di concentramento.
A volte ci sembrava un miracolo che la primavera giungesse ugualmente. La primavera venne, portando dei fiori nel mondo svuotato e razionato, portò della speranza; e i bimbi presero a giocare per strada i loro giuochi antichissimi e singolari. E alcuni di loro cantavano spensierati sui tram di Monaco:
Tutto passa e tutto sarà finito;
anche Adolf Hitler e il suo partito.
A modo loro, erano dei fuorilegge. Invece gli adulti non osavano quasi neppure ridere, sebbene si potesse leggere sui loro visi quale liberazione sarebbe stata per loro una bella risata.
Una sera Sophie aspettava Hans. Da qualche tempo vivevano insieme. Avevano preso in affitto due grandi camere, la cui proprietaria stava quasi sempre in campagna, perché aveva paura dei bombardieri che volteggiavano su Monaco notte per notte. Sophie aveva ricevuto un pacco da casa: conteneva delle mele, del burro, un grosso barattolo di marmellata, un enorme pezzo di ciambella, e perfino dei pasticcini. Quale ricchezza in quel periodo di fame: quel giorno la cena, che avrebbero consumato insieme, sarebbe stata un festino. Sophie aspettò a lungo, allegra come da gran tempo non era piú stata. Aveva apparecchiato la tavola, e l'acqua del tè cominciò a gorgogliare e a mandar fuori del vapore.
S'era fatto buio, e non si vedeva neanche l'ombra di Hans. La gioiosa aspettativa di Sophie cedette a una crescente impazienza. Avrebbe voluto telefonare a tutti gli amici per sapere dove fosse. Ma non era possibile: la Gestapo sorvegliava i telefoni. Sedette alla scrivania: voleva cercare almeno di disegnare un po'. Da un pezzo non ne aveva trovato il tempo. Aveva disegnato per l'ultima volta nell'estate passata, insieme ad Alex. Ma quest'epoca terribile soffocava tutto ciò che non fosse pura e semplice lotta per l'esistenza. Sul suo tavolino si trovava un manoscritto: era una fiaba che avevano immaginato da ragazzi e che sua sorella aveva ora steso per iscritto per lei, perché Sophie desiderava tanto fare un vero libro illustrato.
Ma ora non riusciva neppure a disegnare: l'attesa e la preoccupazione consumavano interamente la sua fantasia. Perché Hans non veniva? Qualsiasi ipotesi si prospettasse, non esisteva via di scampo. Il mondo intero giaceva sotto una nube di tristezza. Avrebbe mai piú potuto il sole penetrarla? Le venne in mente il viso di sua madre: a volte aveva un'espressione di dolore intorno agli occhi e alla bocca, per cui non c'erano piú parole. Mio Dio! E pensare che v'erano delle migliaia di madri intorno ai cui occhi e alla cui bocca aleggiava la medesima espressione; delle madri dai grandi occhi spalancati, che non permettevano alle lacrime di sgorgare...
Molta gente crede che oggi la fine del mondo sia imminente, scriveva in quel periodo Sophie nel suo piccolo diario, e tutti gli spaventosi segni potrebbero farlo pensare. Ma quest'opinione non è forse di secondaria importanza? L'uomo, qualunque sia l'epoca in cui vive, non deve forse tener sempre presente che Dio gli può chiedere conto delle sue azioni nell'istante successivo? Posso forse sapere se sarò ancora viva domattina? Una bomba potrebbe ucciderci tutti questa notte. E allora le mie colpe non sarebbero inferiori che se perissi contemporaneamente alla terra e alle stelle. Non riesco a capire che persone " religiose" possano temere oggi per l'esistenza di Dio, solo perché gli uomini cercano di annientarne le orme con la spada e con atti ignominiosi. Come se Dio non avesse il potere! Sento che tutto è nelle sue mani, il potere! V'è da temere solo per l’esistenza degli uomini, perché voltano le spalle a Colui che è la loro vita.
In quelle settimane la battaglia per Stalingrado era giunta al suo culmine. Migliaia di giovani venivano buttati nelle inesorabili fauci della morte, e perivano di freddo, di fame, dissanguati. A Sophie sembrava di vedere i volti stanchi, affannati delle persone che, curve su pallidi bimbi dormienti, stipavano i treni, fuggendo dalla Renania e dalle grandi città del Nord...
Tommaso d'Aquino' aveva consigliato bagni e sonno come antidoti contro la tristezza. Dormire, sí ‑ questo voleva fare ora ‑ dormire profondamente. Da quanto tempo non aveva potuto dormire a sazietà? Fu destata da una allegra e soffocata risata e da passi nel corridoio. Hans era finalmente tornato. « Abbiamo una magnifica sorpresa per te », le disse. « Se domani passerai per la Ludwigstrasse, dovrai calpestare circa settanta volte la scritta " Abbasso Hitler! " » . «Ed è tracciata con colori d'anteguerra, che non riusciranno a cancellare tanto facilmente», soggiunse con un sorrisetto soddisfatto Alex, che era entrato insieme a Hans. Alle sue spalle apparve Willi, il quale in silenzio depose sulla tavola una bottiglia di vino. Il festino poteva avere ugualmente luogo. E mentre i tre, che erano tutti gelati, si riscaldavano, raccontarono i particolari dell'audace beffa giocata quella notte.