I giudici erano vestiti di toghe rosse e in mezzo a loro sedeva Freisler, schiumante di rabbia e furioso.
Eretti, silenziosi e molto solitari, sedevano di fronte a loro i tre giovani imputati. Rispondevano con franchezza e distacco alle domande loro rivolte. Sophie, la quale per il resto parlò pochissimo, disse una volta: «Sono in tanti a pensare quello che noi abbiamo detto e scritto; solo che non osano esprimerlo a parole». L'atteggiamento e il comportamento dei tre imputati era improntato a tale nobiltà, da soggiogare perfino la massa ostile degli spettatori.
Quando i miei genitori riuscirono ad entrare, il processo stava per finire. Poterono udire solo le condanne a morte. La mamma venne meno per un istante, e la si dovette condurre fuori; e ci fu dell'agitazione nella sala perché il babbo gridò: «C'è ancora un'altra giustizia!». Ma poi la mamma riacquistò subito il dominio delle proprie forze; poiché dopo tutti i suoi pensieri si concentrarono unicamente sulla domanda di grazia da presentare e sul modo di vedere i suoi figli. Era meravigliosamente calma, presente a se stessa e coraggiosa, fonte di conforto per tutti gli altri, che avrebbero dovuto confortarla. Dopo l'udienza, il mio fratello minore si fece strada fra la folla, avvicinandosi rapidamente ai tre, cui strinse la mano. E poiché gli erano venute le lacrime agli occhi, Hans gli mise tranquillamente la mano sulla spalla e gli disse: « Rimani forte ‑ nessuna concessione». Sí, nessuna concessione, né in vita né in morte. Non avevano tentato di salvarsi cercando di abbindolare i giudici col farsi apparire animati da ineccepibili sentimenti nazionalsocialisti, con l'attribuirsi dei meriti, né con altre cose del genere. Nulla di simile uscí dalle loro labbra. Chi ha assistito anche a un solo processo politico nel Terzo Reich, sa che cosa ciò significhi. Di fronte alla morte o al carcere (e chi oserebbe pronunciare una sola parola di disprezzo per questo?), di fronte a quei giudici diabolici molti cercavano di nascondere le loro vere idee, per aver salva la vita e l'avvenire.
A ciascuno dei tre era stata concessa, come d'uso, ancora una volta la parola, alla fine, per parlare in propria difesa. Sophie tacque. Christl chiese di aver salva la vita per amore dei suoi figli. Hans cercò di appoggiarlo e di dire una parola a favore del suo amico. Ma Freisler gliela troncò con rudezza: «Se non avete nulla da dire a vostra discolpa, state zitto!».
Le parole non potranno certo mai dare un'idea compiuta delle ore che adesso seguirono.
I tre vennero trasferiti nel grande carcere, destinato alle esecuzioni capitali, di Monaco‑Stadelheim, situato vicino al cimitero posto al margine della foresta di Perlach.
Quivi scrissero le loro lettere d'addio. Sophie chiese di poter parlare ancora con il funzionario della Gestapo che l'aveva interrogata, dicendo di dover fare un'altra deposizione. Le era venuta in mente qualcosa che poteva scagionare un amico.
Christi, il quale era cresciuto senza appartenere ad alcuna confessione religiosa, chiese un sacerdote cattolico. Volle ricevere il battesimo, perché da molto tempo si era accostato spiritualmente al cattolicesimo. In una lettera alla madre scrisse: «Ti ringrazio di avermi dato la vita. A pensarci bene, non è stata che un cammino verso Dio. Ora vi precedo di poco per prepararvi una splendida accoglienza...» .
Intanto i miei genitori erano miracolosamente riusciti a rivedere ancora una volta i loro figli. Era di solito impossibile ottenere un permesso del genere. Si affrettarono al carcere fra le 16 e le 17. Non sapevano ancora che questa sarebbe stata veramente l'ultima ora dei loro figli.
Hans fu il primo ad essere condotto alla loro presenza. Portava degli abiti da detenuto; ma la sua andatura era disinvolta: procedeva eretto, e nessun fattore esterno poteva sminuire la sua personalità. Il suo volto appariva scarno e smunto, come dopo una lotta estenuante; ma adesso splendeva e raggiava sopra ogni cosa. Si chinò affettuosamente sopra la sbarra che li separava e porse la mano a tutti. «Non v'è odio in me. Mi sono lasciato tutto, tutto dietro le spalle». Mio padre lo abbracciò e disse: «Passerete alla storia; c'è ancora giustizia». Poi Hans mandò a salutare tutti gli amici. Allorché, da ultimo, fece ancora un nome, una lacrima gli scese per il viso, e si chinò sulla sbarra perché nessuno la vedesse. Poi se ne andò senza neppure l'ombra della paura, pervaso di un profondo, magnifico entusiasmo.
Indi una secondina introdusse Sophie. Portava i propri abiti e procedeva con lentezza, pacata e molto eretta. (Non v'è alcun luogo al mondo ove si impari a camminare eretti, come in carcere). Sorrideva continuamente come se fissasse il sole. Accettò di buon grado e allegramente i dolciumi che Hans aveva rifiutato: «Oh, sí, li prendo volentieri; non ho ancora pranzato». Ella dimostrò un indescrivibile slancio vitale fino alla fine, fino all'ultimo istante. Era divenuta un po' piú scarna anche lei, ma il suo volto aveva una meravigliosa espressione di trionfo. La sua carnagione era fresca e fiorente ‑ la mamma lo notò come non l'aveva notato mai ‑ e le sue labbra erano rosse e brillanti. «Ora dunque non entrerai mai piú dalla porta», disse la mamma. «Oh, per quei pochi annetti, mamma», fu la risposta. Indi ripeté anche lei trionfante, come Hans, con fermezza e convinzione: « Ci siamo assunti la responsabilità di tutto, di tutto »; e aggiunse: « Ciò smuoverà le acque ».
Quel che l'aveva fortemente tormentata in quei giorni era la preoccupazione per la mamma: avrebbe potuto sopportare la morte contemporanea di due figli? Ora però che ella le stava vicina con tanto coraggio e bontà, Sophie era come liberata.
Penserai a Gesú, vero, Sophie? », disse ancora la mamma, per accennare a un qualche punto d'appoggio. Grave, ferma, e con tono quasi di comando, Sophie rispose: «Sí, ma anche tu». Poi se ne andò anche lei ‑ libera, senza paura, pacata; e con il volto atteggiato a un continuo sorriso.
Christl non poté rivedere nessuno dei suoi congiunti. Sua moglie aveva appena dato alla luce il terzo figlio, la prima bambina. Seppe della sorte toccata al marito solo quand'egli non era piú in vita.
«Si sono comportati con coraggio fantastico», raccontarono i secondini. «Tutto il carcere ne fu impressionato. Perciò ci siamo accollati il rischio (la cosa avrebbe avuto delle conseguenze gravi per noi, se si fosse risaputa) di riunire ancora una volta i tre condannati, un momento prima dell'esecuzione capitale. Volevamo che potessero fumare ancora una sigaretta assieme. Non furono che pochi minuti, ma credo che abbiano rappresentato un gran dono per loro. "Non sapevo che potesse essere cosí facile morire", disse Christl Probst. E poi: "Fra pochi minuti ci rivedremo nell'eternità". Poi vennero condotti al supplizio. La prima fu la ragazza. Andò senza battere ciglio. Noi tutti non riuscivamo a credere che ciò fosse possibile. Il boia disse di non avere mai veduto nessuno morire cosí ».
E Hans, prima di appoggiare il capo sul ceppo, esclamò a voce alta, che risuonò per tutto il vasto carcere: « Evviva la libertà ». In un primo tempo sembrò che tutto fosse finito con la morte di quei tre. Scomparvero in silenzio e quasi di nascosto nel cimitero di Perlach, mentre il sole, splendente e quasi primaverile, stava per tramontare. «Nessuno ha amore piú grande che quello di dar la sua vita per i suoi amici», disse il cappellano del carcere, il quale si era dichiarato uno dei loro e li aveva assistiti con profonda comprensione. Ci diede la mano, e accennò al sole, che stava per tramontare, dicendo: « Risorgerà ».