L'ultimo tratto di strada
Nell'ultimo periodo della vita di Giovanni Papini, una terribile malattia gli aveva tolto ogni movimento, bloccandolo in tutte le espressioni dei sensi. Eppure fu capace di dire: "Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho perduto l'uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto quasi cieco e quasi muto. Non posso dunque camminare né stringere la mano di un amico né scrivere neppure il mio nome; non posso più leggere e mi riesce quasi impossibile conversare e dettare. Sono perdite irrimediabili e rinunce tremende soprattutto per uno che ha la continua smania di camminare a rapidi passi, di leggere a tutte le ore e di scrivere tutto da sé, lettere, appunti, pensieri, articoli e libri". La situazione era terribile!
Però, dopo la descrizione del suo 'stato miserevole', passa a fare il bilancio di ciò che ancora gli è rimasto; e lo enumera con la stessa minuzia con cui ha parlato delle sue privazioni. Quel poco che ha, gli dà gioia e ne parla volentieri con serenità e dolcezza: "E tutto questo non è nulla a paragone dei doni ancora più divini che Dio mi ha lasciato. Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la fede, l'intelligenza, la memoria, l'immaginazione, la fantasia, la passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si chiama intuizione o ispirazione. Ho salvato anche l'affetto dei familiari, l'amicizia degli amici, la facoltà di amare anche quelli che non conosco di persona e la felicità di essere amato da quelli che mi conoscono soltanto attraverso le opere. E ancora posso comunicare agli altri, sia pure con martoriante lentezza, i miei pensieri e i miei sentimenti". Come sono belle e luminose queste riflessioni!