Giovedì 11 Aprile nella parrocchia di San Nicolò a Carpegna ci siamo incontrati con due giovani  ex tossicodipendenti della comunità di Papa Giovanni XXIII di Don Benzi. Venivano da esperienze diverse, accomunati da uno stesso passato: LA DROGA.

Il primo di loro, parte giovanissimo per la Spagna dove lavora per 14 anni come gestore di Night Club e locali notturni a Ibiza. Raggiunto un certo benessere economico decide di tornare in Italia, anche per dimostrare ai suoi genitori di aver realizzato il suo sogno di successo. Ma una volta tornato a casa, dopo aver investito malamente i suoi guadagni, si ritrova fallito. Lui, così sicuro si sé e delle sue azioni, pur essendo già adulto, inizia a ricorrere alla droga. “E pensare - racconta – che io i drogati li avevo sempre disprezzati. Li credevo una razza inferiore”. Inizia subito con le droghe pesanti e si ritrova ben presto nel “tunnel”. Per procurarsela inizia a rubare, poi addirittura a rapinare. Viene arrestato e finisce in carcere e a causa della sua turbolenza viene trasferito in tre penitenziari diversi, finché non incontra la possibilità di entrare nella Comunità Papa Giovanni XXIII di don Benzi. Sono già tre anni che vive questa nuova esperienza “positiva” ed è ormai giunto alla fase conclusiva del programma. Ora è lui ad aiutare gli altri ragazzi. Racconta così il suo cambiamento interiore: "Prima mi rapportavo agli altri solo per avere da loro qualcosa in cambio, da prendere con le buone o con le cattive. Ora ho smesso di sentirmi al centro del mondo con i miei bisogni e le mie schiavitù e cerco di andare incontro agli altri, di capirli, di rispettarli".

La seconda testimonianza ci è venuta da un ragazzo di Rimini. Il suo problema iniziale è stato quello della timidezza. Per sentirsi più inserito nel “gruppo” si rifugia nell’alcool, ma con il passare del tempo questo “rimedio” non gli basta più e comincia a “fumare”, per finire poi nelle droghe pesanti. Nove anni di eroina lo portano alla distruzione della propria persona e della propria personalità. Presi dalla disperazione i genitori lo mandano via da casa e lui, ritrovatosi solo (“in mezzo alla m…!”), sperimenta il proprio fallimento. Sceglie allora di andare in comunità e dopo un inizio difficile, si trova ora nella fase conclusiva del programma di recupero: “Ora - ci dice -, mi trovo a casa mia. Quello che mi ha aiutato a confrontarmi e a migliorarmi è stato l’incontro con il vangelo, che noi spesso in comunità meditiamo insieme".

I ragazzi ci hanno poi raccontato più in particolare di come funziona la comunità; in essa ci sono tre fasi: 1) l’accoglienza 2) il recupero 3) il reinserimento nella società. Durante queste fasi i giovani cercano di riprendere le abitudini della vita normale, con le sue regole e i suoi ritmi. Nella fase di recupero, aiutati da alcuni esperti attraverso colloqui collettivi e individuali, cercano di “recuperare la propria vita. Una interessante caratteristica di questa fase è la stesura di un diario personale in cui ognuno ripercorre ogni momento della propria vita. Nella terza e ultima fase i ragazzi tornano progressivamente a contatto con la sociatà, iniziando a rapportarsi nuovamente con il mondo esterno.

E’ stata una serata veramente importante, ricca di umanità. Non si è parlato di statistiche o di effetti chimici (“In fondo – ci hanno raccontato – tutte le droghe sono uguali, perché tutte portano alla rovina”), ma di problemi reali che tutti i giovani devono affrontare: l’eccesso si spavalderia o la mancanza di sicurezza, in fondo due facce della stessa medaglia. Ma la droga non risolve problemi… li amplifica e li avvelena. L’unica medicina e quella di una fraternità vera.