IL SACRAMENTO DELL’ORDINE
BIBLIOGRAFIA
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Sul sacerdozio in genere e sul sacramento dell’ordine in particolare in questi ultimi anni è stato scritto di tutto. Alla base di questa specie di orgia di opinioni ci sono problemi di ordine pratico, come il problema ecumenico, quello di un nuovo tipo di prete per il mondo di oggi, quello del celibato, quello di un servizio ministeriale “ad tempus”, quello del sacerdozio della donna ecc.
Noi non dobbiamo occuparci di questi problemi, ma è necessario tenere presenti i risvolti dottrinali che hanno maggiormente inciso sulla teologia del sacramento dell’ordine. E’ bene partire da una riflessione su questo dato di fatto.
LE INCRINATURE DELLA TEOLOGIA DEL SACERDOZIO
Nell’opera “Aspetti della teologia del sacerdozio dopo il Concilio”, A. Marranzini introduceva con queste parole un contributo sulla problematica del carattere sacerdotale emersa nel decennio 1964-1974: “Nell’ultimo decennio d’impostazione nuova della riflessione teologica e della prassi pastorale, seguita alle direttive del Concilio Vaticano II, si è avvertito vivo il bisogno di riscoprire l’immagine autentica del sacerdote... Sono state però elaborate delle concezioni che con sfumature diverse mettono in discussione o addirittura negano la dottrina tradizionale del carattere sacerdotale. Il riconoscere che l’ordinazione sacramentali importi una trasformazione ontologica in chi la riceve sarebbe sfociare, secondo alcuni, in una cosalizzazione del ministero sacerdotale, che non faciliterebbe la piena realizzazione personale, l’impegno e lo sforzo per l’adempimento della propria missione specifica... Oggi, quando tutto sembra portare verso una concezione esistenziale, fenomenologica e personalistica, piuttosto che ontologica e costitutiva, della realtà naturale e soprannaturale, ci si domanda se si debba ancora intendere e descrivere il presbiterato, e lo stesso carattere, secondo categorie ontologiche o funzionali” (25).
Lo stesso autore presenta i principali tentativi fatti da vari autori per “deontoligizzare” il carattere sacerdotale (ibidem, 26-37). Sarebbe superfluo esaminare le singole opinioni che a volte stupiscono per l’ingenuità con cui si pensa di poter risolvere gravi problemi. E’ molto più utile riflettere sulla motivazioni di fondo che hanno portato a formulare certe ipotesi. Lo ha fatto recentemente A. Manaranche con un’acutezza che gli è congeniale. Non possiamo far di meglio che raccogliere alcune osservazioni sparse nell’introduzione della sua opera.
L’autore osserva che molte idee derivano da strani “trinciamenti” (decoupages) storici: “Il modo è duplice. O sembra che le cose si siano pensate in maniera corretta per due secoli, ma che a partire dal terzo, tutto si è deteriorato nella teologia per l’introduzione del vocabolario sacrale (sacerdozio, sacrificio, consacrazione), traccia evidente del ritorno al giudaismo addirittura di paganizzazione, soprattutto se si aggiunge la norma di continenza sessuale che appare al secolo seguente. Oppure, al contrario, è chiaro che non si è capito niente fino a una data recente, per mancanza di un esegesi appropriata, a meno che non sia colpa del canone eucaristico romano, accusato di tutti i misfatti. Il trinciamento non risparmia il Nuovo Testamento: si sceglie allora tra il paolino autentico, il solo accettato, e il deutero-paolino sospetto, soprattutto quello delle lettere pastorali in cui si ritiene che il ruolo dei ministeri sia più marcato... In tutto questo la grande dimenticanza è la vita della Chiesa messa a mal partito da questa vivisezione concettuale” (12).
Un’altra istanza della mentalità del nostro tempo è il rifiuto di una differenza di natura tra il sacerdozio ministeriale e quello battesimale. In questo dibattito emerge qualcosa di buono e qualcosa di molto allarmante: “Il meglio è il desiderio di parlare cristianamente e non in modo pagano; è la volontà di esprimere la cosa più originale del Nuovo Testamento: “questo culto battesimale che è l’offerta di tutta la vita. Il peggio, è una reale allergia ad ogni alterità. Noi viviamo un tempo del fratello che non sopporta l’immagine del Padre nè quella dei suoi rappresentanti” (17).
Qualcosa di simile avviene nei confronti dell’idea di autorità: “Col pretesto dello spirito di servizio praticato e insegnato da Gesù, l’allergia contemporanea all’alterità se la prende con l’autorità, anche spirituale di cui è rivestito il sacerdozio, a partire da quello del vescovo. Perchè il manicheismo attuale ha trasferito sul potere la demonizzazione che una volta si attaccava alsesso. Come se il più grande servizio non consistesse, soprattutto oggi, nell’assumenrsi una vera responsabilità... Del resto, la critica del potere degli altri serve a dimenticare le manovre che si fanno per imporre il proprio” (21).
Pensiamo che motivazioni profonde di tutti gli attacchi della concezione cattolica del sacerdozio siano quelle che abbiamo ricordate. Se si riesce a smascherarle, si sgombra il terreno per la costruzione di una teologia de lsacramento dell’ordine che permetta di vedere nei ministri ordinati la potenza consacrante in modo permanente dello Spirito e la presenza di Cristo sacerdote, capo e pastore della Chiesa.
IL SACERDOZIO NELL’ANTICA E NELLA NUOVA ALLEANZA
Nell’Antico Testamento troviamo persone investite del potere di compiere atti cultuali: i sacerdoti. Il termine ebraico per designare il sacerdote è kohen, d’incerta etimologia; i traduttori greci della Bibbia e il N. T. usano il greco hiereus che deriva da hieros (sacro).
Sono molte le funzioni attribuite al sacrdote nel V.T.: “Si può presentare il kohèn come l’uomo del santuario, colui che ha il diritto di toccare gli oggetti sacri e è ammesso nella prossimità di Dio, o come l’uomo incaricato di offrire sacrifici, o ancora come colui da cui si attendono gli oracoli, colui che dà le benedizioni, colui che decide le questioni di purità rituale” (Vanhoye, 35-36).
Tutte queste attribuzioni esprimono un concetto fondamentale unitario: “L’elemento centrale è l’accoglienza favorevole ottenuta presso Dio. Il sacerdote è prima di tutto l’uomo del santuario: se egli non è accettato da Dio, è un personaggio inutile. Per farsi accettare da Dio, egli si sottomette a tutte le prescrizioni rituali che lo separano dal mondo profano e veglia pure perchè il popolo si metta in stato di purità. Nella serie di elementi ascendenti che culminano nell’ingresso del sacerdote nel santuario, il ruolo decisivo spetta al sacrificio: esso stabilisce il contatto con Dio. Se la relazione è stata rotta, egli la ripara. Negli altri casi egli l’attualizza nella maniera richiesta dalla situazione concreta, offerta quotidiana o celebrazione festiva, riconoscenza gioiosa o intercessione supplicante, ecc. Le altre funzioni del sacerdote corrispondono al movimento discendente e si presentano come le conseguenze benefiche della relazione ottenuta: ammesso alla presenza di Dio, il sacerdote procura al popolo il perdono dei peccati e la fine delle calamità, riceve i responsi divini che indicano la condotta da tenere per risolvere i problemi dell’esistenza, infine per trasmettere le benedizioni che assicurano a tutti successo, pace e fecondità. E’ facile costatare che tutto questo insieme corrisponde a una aspirazione profonda: il desiderio di vivere in comunione. Il ruolo del sacerdote è di aprire al popolo la possibilità della comunione con Dio e la comunione tra tutti, dato che l’una non esiste senza l’altra. In altre parole, il sacerdote si definisce come un ufficio di mediazione” (ibidem, 48).
Dopo la costruzione del tempio di Gerusalemme, esso divenne il luogo esclusivo del servizio sacerdotale vero e proprio (dopo la distruzione dell’ano 70 tra gli ebrei non verrà più esercitato il culto sacerdotale). Il sacerdozio è gerarchizzato e solo il Gran Sacerdote, nel giorno del Kippur può entrare nel Santo dei Santi. Da notare che dopo l’esilio il Gran Sacerdote acquisterà il ruolo politico sempre più grande.
Gesù vive in questa situazione. Nei vangeli il termine hiereus non è mai usato per designare Gesù o i suoi discepoli, ma soli i sacerdoti giudei. Con questi Gesù si scontrò e furono essi a decretarne al condanna a morte.
Benché per i tempi messianici si attendesse il rinnovamento del sacerdozio, l’attività di Gesù non presentò nulla che richiamasse un atteggiamento di sacerdote. Dopo la sua morte e resurrezione ai cristiani dovette porsi il grosso problema se il mistero di Cristo avesse una dimensione sacerdotale. Sarà la lettera agli Ebrei a dare una risposta ampiamente positiva a questo problema.
La lettera afferma che noi cristiani abbiamo “una sacerdote grande” (10,21), un “Gran Sacerdote eminente” (4,15), cioè “l’apostolo e il grande sacerdote della nostra professione di fede, Gesù” (4, 14). Il Vanhoye fa del sacerdozio di Cristo nella lettera agli ebrei un esame molto ricco. In essa studia il susseguirsi delle diverse sessioni: “Dopo una prima presentazione del Cristo Gran Sacerdote, si è invitati a considerare in lui la doppia relazione sulla quali si fonda ogni sacerdozio: il sacerdote deve essere accreditato presso Dio e legato agli uomini mediante una solidarietà reale. Una volta stabilita questa base, si è portati a discernere ciò che vi è d’inedito e d'inseparabile nel sacerdozio di Cristo: sacerdote di un nuovo genere, il Cristo ha compiuto un’azione sacerdotale decisiva la cui efficacia ha completamente trasformato la situazione degli uomini” (82-83).
Oltre il carattere sacerdotale del mistero di Cristo, il N. T. considera pure la dimensione sacerdotale del popolo cristiano. In 1Pt 2,9 si dice: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perchè proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce”; e in Ap 1,6: “(Colui che ci ama) ha fatto di noi un regno di sacerdoti pr il suo Dio e Padre” (cf. pure Ap 5, 10). Questo tema va approfondito nell’ecclesiologia, ma dobbiamo tenerlo presente perchè ci pone il problema: nel popolo cristiano c’è solo un sacerdozio comune che scaturisce da quello di Cristo e coinvolge tutti i cristiani nello stesso movimento di offerta e nella stessa dignità regale, oppure c’è anche un servito sacerdotale riservato ad alcuni dei suoi membri? E’ la domanda che interessa direttamente il sacramento dell’ordine.
Purtroppo la risposta, a livello strettamente esegetico, non è facile. Stando alla lettere bisogna dire: “Il sacerdozio del popolo santo occupa poco posto nei testi dell’Antico Testamento, dove si dilegua davanti al sacerdozio ministeriale della tribù di Levi. Il Nuovo Testamento, al contrario, mette in piena luce il sacerdozio del nuovo popolo e non contiene alcuna indicazione esplicita sul sacerdozio ministeriale. Questo fatto ha suscitato delle controversie tradizionali tra cattolici e protestanti. Questi, attaccandosi alla lettera della Scrittura, non vi trovano latro sacerdozio che quello del Cristo e del suo popolo. I cattolici interpretano i testi a partire dalla vita della Chiesa in cui a poco a poco i è organizzata la gerarchia. Il problema è quello del modo e delle fonti della Rivelazione” (A. George, in “La tradition sacerdotal”, 76-77).
Si può dire con tranquillità che il punto di vista ei cattolici è più ragionevole, anzi addirittura l’unico ragionevole, perchè è solo la vita della Chiesa che può interpretare quelle Scritture che trovano nella vita stessa della Chiesa, con la sua gerarchia, il riconoscimento della loro autorità divina.
Da un orizzonte ermeneutico ecclesiale allora si possono leggere come riferiti al sacerdozio ministeriale tutti quei testi che parlano degli apostoli e dei cristiani scelti per essere loro collaboratori. Per un esame accurato rimandiamo alle opere citate (cf. soprattutto: Colson, Romaniuk, Galot, Lemaire e i vari contributi in “Il ministero e i ministeri secondo il Nuovo Testamento”). Tutti questi testi contribuiscono a formare una teologia profonda del sacerdozio che culmina nella spiritualità sacerdotale.
Da un punto di vista strettamente dogmatico sono interessanti quei passi in cui si parla dell’elezione dei collaboratori degli apostoli con la trasmissione di un potere mediante l’imposizione delle mani.
Il primo esempio ci è dato da At 6, 1-6 in cui si narra l’elezione dei “sette" che vennero presentati “agli apostoli i quali dopo aver pregato, imposero le loro mani”. Una tradizione, partendo dall’uso del termine “diakonia”, riconosceva in questo testo l’istituzione diaconato. Un esame più attento rivela che i sette “pieni di Spirito e di saggezza” (At 6,3) sono preposti alla direzione della comunità nel servizio quotidiano che comprendeva cneh lo “spezzare il pane”, la preghiera e l’insegnamento, quindi la loro funzione sembra piuttosto presbiterale (cf. Galot. 168.174). Quest’interpretazione è interessante, perchè ci mostra come il servizio spirituale delle comunità gli apostoli pregano e impongono le mani su dei cristiani designati dalla comunità stessa.
Altri due passi molto commentati sono 1 Tm 4, 14: “Non trascurare il dono spirituale (charismatos) che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri”; e 2 Tm 1,6: “Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono (charisma) di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani”. Senza voler far dire troppo ai due testi, si deve ammettere che vi si parla di un dono spirituale (charisma) che è in Timoteo in maniera stabile (si deve ravvivare come il fuoco sotto la cenere). Esso è conferito, per indicazione dei profeti, mediante l’imposizione delle mani, gesto che deriva dalla tradizione e che serviva anche per l’ordinazione rabbinica.
Per quanto riguarda il vocabolario, i collaboratori degli apostoli non vengono chiamati con nomi che designano l’ordine sacerdotale, ma con termini indicanti una funzione ministeriale. Nel N.T. i termini episcopo, presbitero e diacono non hanno ancora il significato preciso che assumeranno in seguito.
C’è dunque una partecipazione del ministero apostolico a vari collaboratori che è il punto di partenza della futura gerarchia sacerdotale della Chiesa. In che rapporto sta il ministero apostolico che il sacerdozio giudaico? Certamente c’è una grande novità che può far scrivere: “Cristo ha abolito i sacerdoti e ha creato gli apostoli” (Durrwell, 210), in quanto la funzione apostolica è ben diversa da quella dei sacerdoti dell’A.T. Solo alcuni accenni nell’epistolario paolino possono far pensare a una comprensione del ministero apostolico in senso sacerdotale (cf. 2 Cor 3, 6; Rm 1, 9; 15,16), comunque non si può insistere troppo su questi testi.
Teniamo presente che al tempo degli apostoli funziona in pieno il sacerdozio giudaico: non si poteva confondere questo con il ministero apostolico. In pratica è importante rendersi conto che il contenuto della funzione apostolica e prendere atto che all'inizio del II secolo il suo esercizio fu espresso un vocabolario sacerdotale.
IL SACERDOZIO NELLA STORIA DELLA CHIESA
Dalla fine del I secolo all’inizio del III si organizza la vita della comunità cristiane dove vediamo prevalere e fissarsi la gerarchia vescovo-presbitero-diacono. Non viene usato per questi ministri il termine sacerdotale, tuttavia appaiono qua e là delle espressioni che, pur senza identificarli, avvicinavano i ministri del nuovo culto cristiano a quelli dell'A.T. (cf. Colson, 211-341).
Invece all’inizio del III secolo al vescovo viene dato il titolo di pontefice e sacerdote (hiereus, sacerdos, summus sacerdos), soprattutto a causa del ruolo liturgico che svolge nell’offerta dell’eucarestia di cui viene posto maggiormente in rilievo l’aspetto sacrificale.
S. Cipriano scrive con naturalezza: “Per confondere gli eretici e ribatterli il Signore fece vedere cosa fosse la Chiesa, chi fosse il suo vescovo, unico e scelto per disposizione (ordinatione)divina, chi fossero i presbiteri uniti al vescovo dalla dignità sacerdotale (sacerdotali honore)” (Ep. 61,3). E nella Tradizione Apostolica di Ippolito troviamo la preghiera di consacrazione del vescovo: “Padre, conosci i tuoi cuori, concedi al servo che hai eletto all’episcopato di pascere il tuo santo gregge e di esercitare irreprensibilmente il tuo sovrano sacerdozio”.
Perchè avviene l’introduzione del vocabolario sacerdotale? Senza negare che i cristiani del III secolo si son visti costretti a precisare la natura dei loro pasoti nei confronti dei pagani e dei giudei, A. Manaranche cerca di individuare motivi più profondi: “Se, nei documenti che possediamo, la Chiesa, a partire da una certa epoca, ha ripreso il vocabolario sacrale (sacerdozio-sacrificio-consacrazione), è per motivi prima di tutto teologali: bisognava evitare di ridurre i ministri a dei gerenti messi in funzione da un voto delle loro comunità; bisognava precisare la loro condizione spirituale di fronte al Cristo risorto: bisognava precisare la natura esatta dell’assemblea eucaristica, dell’azione eucaristica, della presenza eucaristica... Questo linguaggio sacrale avrebbe permesso di riferire negli la realtà ecclesiale al Sacro critico, di non metterla in posizione di esteriorità. Poiché il vescovo è Hiereus, egli assicura la presenza attuale di Gesù Cristo, senza confiscare la sua Mediazione, certo, ma anche senza tenersi al di fuori di essa” (141-142).
Evidentemente per la Chiesa l’assunzione del vocabolario sacerdotale per precisare la natura e le funzioni dei suoi ministri andava bene, esprimeva bene la realtà che viveva, perchè divenne uso comune chiamare sacerdotes i vescovi e anche i presbiteri (sacerdotes secundi ordinis).
La tradizione patristica e liturgica ci hanno lasciato numerose testimonianze sul conferimento dei ministeri mediante l'imposizione delle mani (cheiroto-nei, cheirepithesia) da parte dei vescovi (cf. Ott. 29-105). Per la sacramentalità dell’ordine è importante stabilire che cosa conferiva l’imposizione delle mani e se ciò che conferiva aveva un carattere permanente.
La recente opera del Lecuyer non fa che dimostrare come nell’età patristica (I-V secolo) ci sono chiare e sufficienti testimonianze per affermare che l’ordinazione conferiva agli ordinati un particolare dono dello Spirito in maniera definitiva. Dopo un esame critico e dettagliato dei testi, l’autore conclude: “Secondo la fede cristiana, quale si esprime fin dall’età apostolica, l’ordinazione è un sacramento, nel senso che la chiesa cattolica dà a questo termine. Essa è dunque un rito liturgico, nello stesso tempo gesto e parola, che produce, e in maniera definitiva, un effetto spirituale, una grazia o dono gratuito di Dio, in colui che è ordinato. Tuttavia la grazia conferita non è direttamente, come nel caso del battesimo, per il beneficio di colui che la riceve, ma per il servizio della Chiesa e degli uomini che Dio salva per mezzo di essa. Questo è il senso che riveste la parola “carisma” nelle Costituzioni Apostoliche. Diaconi, presbiteri e vescovi non sono dunque soltanto uomini scelti dalla comunità per il servizio di tutti... Ma, fatta la scelta secondo norme che sono cambiate nel corso dei tempi, è ancora necessario che Dio doni agli eletti il “carisma” corrispondente alla funzione che devono compiere; essi non sono dei semplici “delegati” del popolo di Dio, ma dipendono da un’istituzione che, al di là degli apostoli, risale a Cristo stesso. La presenza dei ministri ordinati è dunque, nella comunità cristiana, un segno permanente della continuità del dono di Dio alla sua Chiesa: è Dio che ha l’iniziativa, è lui che è la sorgente costantemente zampillante di ogni autorità, di ogni fecondità pastorale in seno al suo popolo. Se egli dona invisibilmente il suo Spirito a ogni uomo di buona volontà, lo dona pure alla sua Chiesa per mezzo di istituzioni e di segni visibili che il Cristo stesso le ha lasciato in eredità mediate gli apostoli” (271-272).
La Scolastica, secondo il suo genio, cercherà di precisare i gradi dell’ordine, di elaborarne la definizione, di affermarne la sacramentalità, di studiarne gli effetti, il ministro, il soggetto (cf. Ott, 109-278). Richiameremo più avanti qualche punto di questa dottrina.
La sacramentalità dell’ordine venne attaccata naturalmente dai Riformatori. Lutero nel De captivitate babylonica ecclesiae sostiene che il sacramento dell’ordine è un’invenzione della Chiesa papista, poichè non c’è traccia nel N.T. della promessa di una grazia per questo rito celebrato nella Chiesa. In modo particolare Lutero si scaglia contro la dottrina del carattere indelebile, mentre proclama il sacerdozio comune di tutti i fedeli, i quali hanno uguale potere di proclamare la Parola e amministrare i sacramenti. L’ordine non è che un rito con cui qualcuno è chiamato a esercitare un ministero nella Chiesa, soprattutto quello della Parola. Colui che è chiamato a questo ministero può ridiventare laico o essere esonerato (sul pensiero dei Riformatori cf. Ott, 280-294).
Ancora una volta toccò al Concilio di Trento definire i punti controversi sul sacramento dell’ordine (cf. Ott, 295-309). Tra i canoni della Sessione XXIII ricordiamo:
Can. 1: “Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non esiste un sacerdozio visibile ed esterno o non c’è il potere di consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore e di rimettere e di ritenere i peccati, ma solo l’ufficio e il nudo ministero di predicare il Vangelo, o che coloro che non predicano o non sono assolutamente sacerdoti, A. S.” (DS 1771).
Can. 3: “Se qualcuno dice che l’ordine o la sacra ordinazione non è veramente e propriamente un sacramento istituito da Cristo Signore, o che è un’invenzione umana escogitata da uomini ignari di cose ecclesiastiche, ovvero un semplice rito per eleggere i ministri della parola di Dio o dei sacramenti, A.S.” (DS 1773).
Can. 4: “Se qualcuno dice che per mezzo dell’ordine non viene dato lo Spirito santo e che perciò invano il vescovo dice: Ricevi lo Spirito Santo, o che per essa non s’imprime il carattere, o anche che uno da sacerdote può ritornare laico, A.S.” (DS 1774).
Dopo il Concilio di Trento i principali documenti della Chiesa riguardanti il sacramento dell’ordine furono la bolla “Apostoliche curae” (1896) di Leone XIII sulla nullità delle ordinazioni anglicane e la costituzione apostolica “Sacramentum ordinis” (1947) di Pio XII che, mettendo fine a questioni da tempo dibattute, stabilisse la materia e la forma dell'ordinazione al diaconato, al presbiterato e all’episcopato.
La dichiarazione più importante del Concilio Vaticano II è stata quella della sacramentalità dell’episcopato: “Con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, somma del sacro ministero” (Lg 21). Paolo VI il 18-6-1968 con la Costituzione apostolica “Pontificalis Romani” promulgava i nuovi riti delle ordinazioni.
NATURA DEL MINISTERO SACERDOTALE
Trattando del sacerdozio comune, la Costituzione “Lumen Gentium” dice: “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado (essentia et non grado tantum), sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo proprio, partecipanti all’unico sacerdozio ministeriale? Qual è il modo proprio del sacerdozio ministeriale di partecipare all’unico sacerdozio di Cristo?.
Nasce da queste domande la ricerca della natura specifica de sacerdozio ministeriale. La tradizione riconosce ad esso la funzione profetica (annunzio della parola), quella cultuale o sacramentale che culmina nell’eucarestia e quella di governo è pastorale. Ognuna di queste funzioni è stata presa come fondamento per definire la specificità del ministero sacerdotale (cf. Galot, 134-140). Crediamo sia più opportuno considerare ugualmente specifiche del sacerdozio ministeriale tutt’e tre le funzioni, unificandole nel concetto di ufficio pastorale, come dice la “Lumen Gentium”: “I vescovi dunque assunsero il servizio (ministerium) della comunità con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge, di cui sono pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa” (n. 20).
Pastori che presiedono, con funzione vicaria, al gregge: tali vengono resi dal sacramento dell’ordine i vescovi e i loro collaboratori. Il munus profetico, sacerdotale e regale di tutto il popolo di Dio assume in essi la specificità di rappresentare Cristo come pastore che guida il suo gregge, che lo ammaestra e per esso offre la sua vita in sacrificio.
Nella tradizione è presente il concetto che il sacerdote è immagine (eikon) o simbolo (symbolon) di Cristo o che il sacerdote agisce in persona Christi (cf. Marliangeas). Molto bene precisa Prospero d’Aquitania: “Tutto il popolo cristiano è sacerdotale. Tuttavia più pienamente questo se lo assumono i pastori del popolo che in modo speciale agiscono in persona (personam gerunt) del sommo pontefice e mediatore” (Psalm. exp. 131).
Come uomo che agisce in persona Christi, il sacerdote è anche rappresentante di Cristo che è capo della Chiesa, pontefice e mediatore, e quindi nella tradizione è pure presente l’idea che il sacerdote agisce in persona Ecclesiae (cf. Marliangeas), come rappresentante di tutta la Chiesa.
Per essere abilitato a questo ufficio assolutamente superiore alle capacità umane, il ministro ordinato riceve la grazia dello Spirito che gli viene appunto concessa nel sacramento dell’ordine: “Se non vi fosse lo Spirito Santo, non vi sarebbero pastori e dottori nella Chiesa, perchè essi non lo diventano che per mezzo dello Spirito... Se non vi era lo Spirito Santo nel Padre e dotto comune qui presente, quando, poco fa, egli è salito a questo santo altare e ha dato a tutti la pace, voi non gli avreste risposto, tutti insieme: E con il tuo Spirito” (G. Crisostomo, De S. Pent. Hom., 1.4; la risposta “con il tuo Spirito” era compresa come rivolta allo Spirito Santo presente nel sacerdote).
La dottrina elaborata nella Scolastica considera effetti del sacramento dell’ordine sia la grazia che rende i ministri capaci di compiere i gravi compiti annessi al loro ufficio, sia il carattere, o signaculum, impresso dallo Spirito nell’anima, e che consacra per sempre il sacerdote come mediatore tra Dio e gli uomini (cf. Ott, 234-237).
L’Anciaux vede così il rapporto tra carattere e grazia: “Il sacramento delle ordinazioni conferisce il “carisma” del ministero apostolico. In altre parole esso consacra a una missione mediante un dono dello Spirito Santo. Come a Pentecoste lo Spirito ha dato compimento e perfezione all’invio dei Dodici in vista del loro ministero, così pure per mezzo dell’ordinazione lo Spirito sigilla la designazione di un membro della Chiesa consacrandolo alla sua missione. Questa consacrazione associa l’uomo in maniera speciale all’opera della redenzione mediante un’unione al Signore risorto. Essa può essere considerata sotto un duplice aspetto: da una parte chiama l’uomo a prendere parte alla missione della Chiesa come membro della gerarchia (salvatori con il Cristo); d’altra parte mediante questo servizio essa invita l’uomo a un unione più profonda con il Padre nello Spirito, in Cristo (salvati). La consacrazione al ministero spinge l’uomo a vivere più intensamente del mistero della Chiesa (comunità di salvezza), al cui servizio è votato in maniera speciale (istituzione di salvezza). Così si spiega la distinzione classica tra carattere e grazia che risponde ai due aspetti del carisma apostolico” (50-51).
Nei documenti del Conc. Vat. II troviamo una buona sintesi sulla natura del sacerdozio nel decreto “Presbyterorum ordinis”: “Il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell’iniziativa cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù della unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere (speciali charactere) che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo Capo (in persona Christi Capitis). Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione degli apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra le genti mediante il sacro ministero del Vangelo, affinché l’oblazione delle genti sia accettabile, santificata nello Spirito Santo... Inoltre, è attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto perchè viene unito al sacrificio di Cristo, unico Mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa (nomine totius Ecclesiae), viene offerto nell’eucarestia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore” (n. 2).
Giustamente questo brano è posto all’inizio di un decreto che riguarda il ministero e la vita dei sacerdoti. E’ infatti dalla tremenda responsabilità del ministero sacerdotale che derivano gli impegni di santità, di carità apostolica, di sacrificio, di coraggio, di dedizione totale alla missione del sacerdote. Non è necessaria per tutto questo una grazia possente e permanente che associ il sacerdote al mistero di mediazione sacrificale del Cristo? Non ha diritto la Chiesa di richiedere nei suoi ministri particolari carismi, come il celibato, e una vita santa? Se tutto ciò comporta dei rischi, questi fanno parte di ogni scelta difficile.
Scrive magnificamente il Manaranche: “Io oso proporre quest’ultima idea: creando il sacerdote Dio si è assunto dei rischi; egli ha esposto il suo gregge al pericolo del clericalismo, le cui forme attuali non hanno niente da invidiare alle forme antiche e che spesso viene accentuato da un celibato assunto male... Il sacerdote è sopportabile solo se è santo. Mediocre, è odioso e intollerabile... La sorte (Chance) del sacerdozio è la santità. E la sua santità è che sia difficile” (217).
I GRADI DELL’ORDINE
Nella Chiesa c’è stata una differenziazione del ministero. Il termine ordine (ordo-taxis) sta proprio ad indicare un particolare grado di dignità, di posizione che si occupa nella Chiesa.
Il Concilio di Trento dichiara: “Se qualcuno dice che nella Chiesa cattolica non vi è una gerarchia, istituita per ordinazione divina, che si compone di vescovi, presbiteri e ministri, A.S.” (DS 1776). Non si può dire con precisione se con il termine “ministri” il Concilio intenda i diaconi o tutti i ministri inferiori ai presbiteri. E’ certo comunque che la Chiesa ha sempre riconosciuto tre ministeri principali: episcopato, presbiterato, diaconato.
L’espressione del Tridentino divina ordinatione sta ad indicare genericamente una disposizione divina: non si voleva affermare che i gradi dell’ordine erano stati istituiti direttamente da Cristo. Sappiamo che già in Ignazio di Antiochia si trova la distinzione tra vescovi, presbiteri e diaconi, ma nel III secolo troviamo pure i gradi di suddiacono, accolito, esorcista, lettore e ostiario (portinaio). La tradizione latina ha poi distinto tre ordini maggiori: sacerdozio, diaconato e suddiaconato; e quattro ordini minori: l’accolitato, l’esorcistato, il lettorato e l’ostiariato.
Non troviamo tra questi sette ordini l’episcopato. In realtà la teologia medievale che considerava il sacerdozio esclusivamente in funzione dell’eucarestia, non vedeva una distinzione di ordine tra presbiterato ed episcopato (questo non aggiungeva nulla riguardo al potere sull’eucarestia). S. Tommaso nega che l’episcopato sia un ordine se per ordine s’intende un sacramento, ma ammette che lo sia se s’intende come ufficio di compiere alcune azioni sacre nei riguardi del corpo mistico (non eucaristico) di Cristo. Duns Scoto invece afferma che l’episcopato è un ordine distinto, perchè può conferire tutti gli ordini (cf. Galot, 187-189).
I teologi medievali tendevano anche a dare un valore sacramentale al suddiaconato e agli ordini minori. Queste incertezze rimasero nella teologia fino a pochi decenni fa. Dopo il Concilio Vat. II si afferma chiaramente che sono sacramento l’episcopato, il presbiterato e il diaconato, mentre gli ordini minori vengono ridotti all’accolitato e al lettorato.
Nello stesso Concilio ci sono due punti importanti: la dichiarazione della sacramentalità dell’episcopato (LG 21) e la restaurazione del diaconato come “grado proprio e permanente della gerarchia” (LG 29).
(Per quanto riguarda la proprietà del ministero dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, vedere MS 8, 638-647).