Liberalizzazione della droga: l'Alaska ci ripensa
Maurizio Blondet
Nel 1975 la Corte suprema dell'Alaska, stato degli Usa, sancì che un adulto può possedere marijuana per uso personale. Nel 1988, un'indagine della Alaska University appurò che il numero di consumatori minorenni, nello stato, era più che doppio rispetto agli altri americani della stessa età. Nel 1990, dopo quindici anni di depenalizzazione, e dopo averne visto gli effetti, l'Alaska è tornata a definire reato il possesso di "erba". La legalizzazione non funziona, dice Asa Hutchinson sul Washington Post, ricordando l'esperimento dell'Alaska. Asa Hutchinson è il direttore della Dea (Drug Enforcement Administration), la potente polizia antidroga statunitense. Che si sappia, non ha mai scritto ai giornali. Nemmeno per difendere la dura politica antidroga Usa ("leggi severissime unite a programmi educativi e a trattamenti curativi umani", dice lui: la posizione antidroga non è solo repressione) che in questi anni è stata assai attaccata anche in America. Anche in Usa infatti esiste una folta e potente lobby per la depenalizzazione, fra cui si distingue il Lindesmith Center, sinistro "centro studi" pro-droga e pro-eutanasia finanziato da George Soros. Se stavolta Hutchinson rompe il silenzio, è perché la Gran Bretagna di Tony Blair ha annunciato di voler rilassare le leggi contro la marijuana, e l'esempio potrebbe indurre tanti americani a chiedere di imitarlo. L'argomento dei possibilisti è noto: la repressione è inefficace, una guerra senza speranza. Hutchinson, per una volta, prova cifre alla mano che questa lotta vanta dei successi. "Negli ultimi 15 anni, l'uso di ogni genere di narcotici è calato di oltre un terzo, il che significa che 9,5 milioni di persone hanno smesso. Il consumo di cocaina è sceso del 70 per cento". Onestamente, mister Hutchinson non canta vittoria: quasi il 5% di americani, ossia 16 mili oni, usa ancora droghe illegali; ma lui cita per contro i 109 milioni che consumano alcool. Il concetto che il capo della Dea ripete è questo: già il semplice fatto che comprarsi una dose non sia né facile né senza rischi, dissuade dall'uso un terzo dei potenziali consumatori. Al contrario, suggerisce, nei Paesi come l'Olanda dove la droga è vendibile "al banco", apre al consumo anche frange di giovani che non vi cadrebbero se lo spaccio fosse illegale. Al punto, dice Hutchinson, che l'Olanda starebbe pensando di cambiare la sua legislazione permissiva. E questa è davvero una notizia. Perché - di fatto - i Paesi dove la droga è libera (Olanda) o vigono politiche di "riduzione del danno" (come la Svizzera), tendono a non dare informazioni, e tantomeno cifre sui risultati. E' difficile ottenere dai competenti ministeri statistiche esatte, informazioni sul tipo e concentrazione di droga usata nella somministrazione controllata, sulle ricadute, sul numero di utenti "di stato" che abusano di multipli tipi di droghe, comprate dagli spacciatori (che continuano ad esistere). Insomma, è proprio la cultura della liberalizzazione che non riesce ad esibire successi. E, peggio, tende a celare il suo fallimento dietro ambiguità statistiche o la scusa poco onesta dei "dati riservati". Ovviamente, la "lotta alla droga" non è vinta, non lo sarà mai completamente, e lo sforzo non deve cessare; ma la liberalizzazione sarebbe una sconfitta già accettata. L'ammissione, dice il capo della Dea, "che non vale la pena di lottare per ogni vita umana". Difficile dargli torto.