DORMINPIEDI

Umberto Folena (da Voci, inserto di Avvenire, dell’11 marzo 1998)

La notte è importante. Chi non lo capisce non è mai stato innamorato, non ha mai parlato alla luna, non ha mai pianto sotto le stelle. Chi non lo capisce non e mai stato davvero solo e non è mai stato davvero in compagnia. Chi non lo capisce non sa che cosa significhi scambiarsi confidenze. Il buio è un grembo accogliente che rende possibile ciò che alla luce sarebbe impossibile. Però queste cose van dette sottovoce, tra di noi. Le confidenze, appunto, non si urlano (neanche in tv): se no si rovinano. Evviva la notte, allora, ma abbasso la retorica sulla notte. Idem la disco. Quando senti i dibattiti, sembra che ci siano solo due partiti: quello del terrore, fatto quasi tutto di genitori, che lottano per mettere paletti sempre più rigidi, che cercano di accorciare la notte fino a spegnerla; e quello della deregulation, dei discotecari duri e puri, che chiudono gli occhi per non vedere quello che succede dentro e fuori, nei parcheggi, e gli orecchi per non sentire che i decibel sono effettivamente troppi e come certe droghe tendono all’aumento per assecondare la domanda.

Ingenui i primi, furbastri i secondi. Noi? Noi non vogliamo farci menare per il naso. Abbiamo un sospetto. Vago. Incerto. Ma duro da masticare. Abbiamo l’impressione che qualcuno ci voglia dorminpiedi.

Tanti dorminpiedi. Quasi tutti. Vogliono che una massa di giovani più grande possibile abbia gli stessi identici comportamenti: tutti in discoteca, tutti più o meno a ballare bere indossare le stesse cose, tutti tatuati, tutti bucherellati, tutti con lo stesso vocabolario sulle labbra. Con gli stessi desideri in testa. Perché? Perché solo così possono controllarci. Possono contare su un mercato omogeneo. E possono far soldi più facilmente, perché sanno già cosa cerchiamo.

Per questo non ci piace fare i dorminpiedi e non ci piace tirar tardi solo perché “bisogna”, perché loro ce lo suggeriscono. Loro, poi, parlano di libertà. Ah! Un dorminpiedi impasticcato che torna a casa a 180 all’ora è libero? Che razza di libertà è quella di chi butta via la propria vita? A simili balordi paladini della libertà, a simili faccetonde che sentenziano in televisione seduti sui loro conti bancari, con le loro pettinature ridicole da quarantenni che si fingono ventenni, a tali capatàz dei nostri stivali chiediamo: al vostro amico che vi dice ciao, vado a buttarmi dal ponte, che dite? “Rispetto la tua libertà”? Oppure lo legate alla sedia?

Chi ci vuole dorminpiedi parla di libertà, ma non sa che cosa sia. Di più: la disprezza. Evviva la notte, dunque. Ma una notte dolce, una notte che ci rispetti. Una notte da ballare cantare amare, da starci dentro con la testa leggera. Ma la testa nostra, da non regalare a nessuno.