COMUNISMO: LA TERRIBILE CARNEFICINA
di Eugenio Corti (mensile Il Timone)
"Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20). La
verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un
giudizio di severa condanna del Comunismo.
La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un
articolo, del più tragico di questi: 1'altissimo numero di vittime che il
comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a
condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anzichè difendere le
classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a
milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che
pretendeva di costruire una società senza Dio. Basti ricordare, per fare un
primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che
comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più
di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella
conseguente carestia 'artificiale' del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo).
In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di
persone. Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto
afferma il professore di statistica Kurganov, tra il 1917 e il 1959, cioè nei
primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni
nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di
massa o alle carestie provocate dall'arresto e dalla deportazione di milioni di
contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente
elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito
a causa dell'Olocausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al
Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al
comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato
obiezioni.
Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese,
disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate
che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile.
Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e
della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che
scrive 1'ex ambasciatore d'Italia a Mosca Luca Pietromarchi: "In Cina... il
comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite
umane... Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di
concentramento". Dopo di queste. negli anni del "Grande balzo in
avanti" (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più
terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall'espropriazione dei
contadini. Secondo il famoso sinologo Lazlo Ladany (che fu per decenni redattore
a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima
praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il '59 e il '62
sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi
fino al 1966 (anno d'inizio della 'Grande rivoluzione culturale'), si ebbe
inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei 'campi di rieducazione
attraverso i1 lavoro'. Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei
deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che - volendo supporre,
con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè
del 7-8% annua - comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all'anno,
dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965. L'unico studio
sistematico a nostra conoscenza, relativo all'intera prima fase che va dal 1949
al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato
americano: studio che da - ripartendole per categorie - da un minimo di
34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi
mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del 'Grande balzo
in avanti'.
Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione
culturale), al '76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla
rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni. Un
quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal
comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul
Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull'autorevole rivista parigina
Population (n. 3, pag. 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in
quell'anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto
essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in
modo prudenziale. In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime
innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima
nella storia dell'intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della
presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro
sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza
nelle zone in loro possesso, si arriva a circa 1'80% della popolazione: in tal
modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager.
Contemporaneamente alta deportazione, i capi Khmer diedero inizio
all'eliminazione fisica di tutte 1e persone in qualche modo 'contaminate' dal
capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all'annientamento
degli ex detentori del potere, ex detentori dell'avere ed ex detentori del
sapere. Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3
milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della
vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo
dell'intera popolazione. L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era
contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità
provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un
capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini
è sufficiente". Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella
società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi 'non
contaminati dal capitalismo' a motivo della loro età. Negli altri paesi in cui
i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale
di S. Courtois, ll libro nero del comunismo): in Corea del Nord 2 milioni di
vittime, in Vietnam 1 milione, nell'Europa dell'Est 1 milione, in Africa
1.700.000, in Afganistan 1.500.000. Ma finche non emergeranno notizie che
possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve
rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa. Oggi in Italia un
così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell'umanità,
e come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità
al riguardo.
Le ragioni. Il recente Libro nero del Comunismo non riesce a individuare la causa principale degli eccidi: 1'impossibilità di cambiare, usando i mezzi materialistici indicati dal marxismo, la natura e la coscienza dell'uomo. In pratica, fanaticamente determinati com'erano a eliminare il male dal mondo, i comunisti non hanno potuto fare altro che eliminare l'uomo dal mondo, e l'hanno fatto, come s'è detto, su una scala mai vista prima nella storia. Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali. Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte - in parallelo con l'incremento della produzione materiale - del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuta produrre una "società di uomini nuovi". Tale meccanismo presupponeva tra 1'altro la "violenza come levatrice della società nuova". Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perchè il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all'utopica società nuova - libera dai mali di tutte le società precedenti - per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti. Considerando che, a causa del comunismo, nella nostra epoca abbiamo avuto una straordinaria conferma della fondatezza della visione di S. Agostino, per il quale la storia consiste in un alternarsi continuo delle due "città": la "città terrena" (cioè la società degli uomini che, anche quando partono da propositi encomiabili, poichè escludono Dio dalla loro vita, finiscono inevitabilmente col seguire il "principe di questo mondo", ossia il demonio, il quale come sappiamo è "omicida", "padre di menzogna" e "scimmia di Dio") e la "città celeste" (cioè la società di coloro che nel costruire la vita in comune si rifanno in qualche modo agli insegnamenti di Dio), non ci resta che ribadire una convinzione ormai considerata fuori moda, anche in certo mondo cattolico: il vero bene dell'uomo e delle società, già a partire dalla vita in questa terra, è possibile soltanto a condizione di rispettare la legge di Dio. Altrimenti è il trionfo del demonio. Una terza via non è data.