Da una teologia insana solo cattive politiche
Maurizio Blondet (quotidiano Avvenire)
Carl Schmitt, il grande giurista, l'ha
insegnato una volta per tutte: dietro ogni "politica" agisce una
"teologia". Che tipo di teologia c'è dietro gli orrori che scuotono
il mondo dall'11 settembre? Si scopre che questa domanda corre, su riviste
religiose, in America (e poi dicono che gli americani sono ignoranti):
"Cattiva teologia produce cattiva politica", leggo fra i titoli su
Internet. Per esempio, il National Catholic Register addita i millenaristi
protestanti che sostengono Sharon non perché amino gli ebrei (al contrario), ma
perché convinti che la conquista totale della Terra Santa da parte ebraica
acceleri il Secondo Avvento (di Cristo) e la battaglia finale di Armageddon tra
le creature delle Tenebre e quelle della Luce. Sono 70 milioni a credere questo,
in Usa. E Bush, forse inconsciamente, tocca questa corda rischiosa quando
dichiara guerra all'Asse del Male. Ma nessuna fede è indenne dalla tentazione
di Armageddon. Palestinesi e ceceni combattevano, pur fra atrocità ed eccessi,
una guerra d'indipendenza. Oggi, anch'essi si battono per il Paradiso di Allah
contro il Grande Satana: e non a caso il termine fu coniato da Khomeini, lo
sciismo coltiva da sempre profezie della fine del mondo e della guerra finale
dei veri credenti contro l'Impostore, Al-Masih, che equivale al nostro
Anticristo; con Hizbullah e Hamas, queste suggestioni inquinano la
"politica" palestinese e gonfiano le masse islamiche dovunque nel
mondo.
In Israele, ma anche a New York e a Milano, nella comunità ebraica cresce in
autorità (e influenza politica) il movimento Habad, i cosiddetti Lubavitcher. I
quali si oppongono a ogni cessione di terra ai palestinesi, perché convinti di
vivere ormai nei tempi messianici: e quelli messianici, insegna l'ebraismo, sono
tempi di conquista e avanzata, non di compromessi e concessioni. In tutti questi
casi, teologie sommarie (spesso risultato di semplificazioni rozze e
"popolari" di ardui temi escatologici) producono, direttamente o in
modo obliquo, "cattive" politiche. Perché se la fine del mondo è
vicina, non c'è più da progettare un domani dove il nostro nemico di oggi dovrà
pur avere un posto sicuro; il nemico diventa il Male, noi il Bene assoluto, e il
nostro unico sacro dovere sarà di combattere l'ultima battaglia senza misurare
il sangue, proprio e altrui. La tentazione millenarista scorre talora anche
sotto la pelle del cattolicesimo, e colora qua e là il culto di Fatima o di
Medjugorje: i tempi sono quelli che sono, e i "segni" non
tranquillizzanti. Oltretutto, soffiare sulle paure apocalittiche è buon
marketing religioso, fa' accorrere le folle ansiose di reclutarsi nell'Armata
della Luce. Tanto più è onorevole che la Chiesa tenga a freno quelle
suggestioni, anziché incoraggiarle. Perché è proprio di Roma, ci sembra, un
punto fermo: anche se il mondo dovesse finire presto (ed è possibile), non può
cessare lo sforzo di renderlo più giusto. La città umana va' costruita per
durare millenni, anche se cadrà domani; e pensa al nemico, come se dovessi
convivere con lui nel prossimo millennio. La fretta di "vedere" la
conferma delle profezie, qui e ora, può portare ad arruolarci fra le legioni
del Male, credendo di essere soldati della Luce: Isaia maledisse "coloro
che dicono: si acceleri l'opera Sua, perché possiamo vederla". Di fatto
Armageddon è già in corso, ma nel cuore di ciascuno, non nella storia. Questa
è buona teologia, che fa buona politica.