TESTIMONIANZE SU SAN GIOVANNI BOSCO
«Don Bosco moltiplicò i pani sotto i miei occhi»
Mi chiamo Francesco Dalmazzo, d'anni 47, nato a Cavour (Torino), sacerdote, salesiano, dottore in belle lettere e attualmente rettore della chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino. Deporrò solo quanto so per pura mia scienza, come testimone oculare e auricolare.
Ho conosciuto Don Bosco ai primi di novembre del 1860 (Francesco Dalmazzo aveva 15 anni, Don Bosco 45), e sono vissuto con lui fino alla sua morte.
Da pochi giorni ero entrato all'Oratorio e facevo il corso di rettorica. Non potendo adattarmi al vitto troppo modesto e alle abitudini dell'istituto, intendevo allontanarmi. Un bel mattino andai da Don Bosco a confessarmi in mezzo a una accolta di giovani che lo circondava da ogni parte.
Fu appunto mentre io stavo per confessarmi, che venne un giovane inserviente ad avvertire Don Bosco che non si poteva dare ai giovani la colazione, perché non vi era più pane. Noto che in questo frattempo i giovani assistevano alla santa Messa, dopo la quale a ciascuno veniva distribuita una pagnottella. Don Bosco rispose: ‑ Andate a prenderne in panetteria dal signor Magra (era il nome del panettiere della casa).
Soggiunse l'altro: ‑ Non ne ha più portato, né vuole portarne, perché non l'hanno pagato, e sento che il debito è di ben diecimila lire (un centinaio di milioni di oggi). Allora Don Bosco aggiunse: ‑ Andate a cercare nella dispensa tutto quello che vi è, e raccogliete anche quello che può essere sparso nei refettori. L'altro se ne andò, e io continuai a confessarmi, non dandomi grande pensiero che potesse mancarmi la colazione, perché dopo pochi istanti intendevo partire (per casa mia).
Avevo appena finito di confessarmi, quando ritornò il medesimo individuo, e la Messa era alla fine, a dire nuovamente a Don Bosco:
‑ Ho raccolto tutto, e sono poche le pagnottelle, non sufficienti al bisogno.
Sollecitava Don Bosco, che quietamente continuava a confessare, perché volesse dare ordini in proposito. Don Bosco fece cenno che non s'inquietasse, che a momenti sarebbe venuto egli stesso. Difatti, confessato il giovane che gli stava dappresso, si alza e si avvia alla porticina della sacrestia, dalla quale i giovani uscivano, e alla cui porta si distribuiva il pane.
Memore io allora di altri fatti miracolosi uditi sul conto di lui, e preso dalla curiosità, lo precedetti per andarmi a collocare a luogo conveniente da poter bene vedere e considerare ogni cosa a mio agio. Uscendo incontrai la madre mia sulla porta, la quale invitata con lettera era venuta a prendermi per ricondurmi a casa per i motivi suesposti. Le feci cenno di ritirarsi un momento, che io volevo vedere qualche cosa; e ritiratasi mi collocai proprio dietro Don Bosco in luogo più eminente, che già si era accinto a distribuire le pagnottelle ai giovani.
Guardai tosto il cesto e vidi che conteneva al più una quindicina o una ventina di pagnottelle. Don Bosco intanto distribuisce il pane ai giovani contenti di riceverlo da lui, gli baciano la mano, mentre a ciascuno dice una parolina e dispensa un sorriso. Ricevono tutti trecento il pane, e quando la distribuzione è finita, io considero di nuovo la cesta del pane, e con mia grande ammirazione vedo la stessa quantità che era stata arrecata prima, senza che fosse stato recato altro pane o mutato il cesto.
Corro allora difilato da mia madre, e senza dire altro le partecipo che io non voglio più andare via, e mi perdoni d'averle recato questo disturbo, di essersi recata fino a Torino. Le racconto allora quello che ho veduto con gli occhi miei, dicendole essere impossibile che io lasci una casa benedetta da Dio, e un santo uomo come Don Bosco. E questa è la sola ragione che m'indusse a restare nell'Oratorio di Don Bosco e in seguito ad aggregarmi tra i suoi figliuoli.
«Ho accompagnato Don Bosco al lazzaretto dei colerosi»
Nel 1854 a Torino scoppiò il colèra. Don Bosco si recò a visitare il vicino lazzaretto, e ad assistere i poveri colerosi. Egli ci aveva assicurato che il colèra non sarebbe entrato nell'Oratorio, purché non facessimo peccati. Noi promettemmo e non fummo toccati mentre molti furono i colpiti e i morti nelle case vicine a noi. Di più, Don Bosco decise che i più grandicelli andassero a prestar soccorso e assistenza ai colerosi nelle case vicine. Ai primi di agosto di quell'anno, mentre stavo con altri amici nel cortile, Don Bosco mi invitò ad accompagnarlo al lazzaretto. Accettai e lo seguii. L'aiutai ad amministrare l'Olio santo. Un medico che passò vicino e mi vide, disse: «Don Bosco, che cosa fa? Questo ragazzo non deve stare qui! (Cagliero aveva 16 anni). Non le pare una grave imprudenza?». « No, no, dottore rispose Don Bosco ‑. Né lui né io abbiamo paura del colèra. Non succederà niente». E così fu.
«Don Bosco vide una colomba luminosa su di me»
Ma in quell'agosto caddi gravemente ammalato di tifo e di febbri gastriche, che mi tennero nel letto per quasi due mesi. Il male progredì tanto che mi mise agli estremi. Due celebri medici di Torino, Galvagno e Bellingeri, ora defunti, dopo un consulto mi dichiararono in fin di vita. Dissero a Don Bosco che mi amministrasse pure gli ultimi Sacramenti perché non avrei visto il domani.
Il mio compagno Buzzetti mi avverte del pericolo, e mi dice che Don Bosco verrà per confessarmi e darmi gli ultimi Sacramenti. Infatti Don Bosco venne, e con la sua solita calma e il dolce sorriso, si avvicina lento lento al mio letto e mi dice: «Giovanni, dimmi un po'. Ti piace di più andare in Paradiso adesso, o preferisci guarire e aspettare ancora?». Risposi: «Mio caro Don Bosco, io scelgo ciò che è meglio per me». E lui: «Per te sarebbe meglio che te ne andassi in Paradiso ora, ma c'è ancora tempo. Ci sono ancora tante cose da fare. Guarirai, e com'è sempre stato tuo desiderio, vestirai l'abito dei chierici, diverrai sacerdote, e poi... e poi... (e stette pensando un po') col tuo breviario sotto il braccio andrai lontano, lontano...». Ma non mi disse dove. «Quand'è così ‑ risposi io ‑ non occorre che mi prepari a ricevere i Sacramenti. Aspetterò a confessarmi quando mi sia alzato». «Va bene», rispose Don Bosco. Non mi confessai né più si parlò di morte.
Intanto mia madre, avvisata della gravità della malattia, giungeva da Castelnuovo. Entrata nella mia stanza, mi rallegrai della sua venuta, e senz'altro le dissi che mi preparasse la veste da chierico per la vestizione. Mia madre credette a un mio vaneggiamento, e disse infatti piangendo a Don Bosco: « Il mio ragazzo va male! Vaneggia e parla di vestire l'abito da prete». Ma Don Bosco le disse: «No, no, mia buona Teresa, il vostro figlio non straparla. Egli dice benissimo. Preparategli pure il necessario per la vestizione da chierico. Egli ha ancora tante cose da fare, e non ha nessuna voglia di morire».
Infatti, nonostante la lunga convalescenza, risanai completamente e ricevetti l'abito da chierico.
Don Alasonatti, prefetto della casa e aiuto di Don Bosco, un giorno mi disse: « Tu devi farti molto buono, perché Don Bosco mi disse cose troppo particolari a tuo riguardo».
Nei primi anni del mio sacerdozio, incontrai Don Bosco all'inizio delle scale e alquanto stanco. Con amore filiale e in tono di scherzo gli dico: «Don Bosco, mi dia la mano. E vedrà se non l'aiuto a salire i gradini! ». Egli paternamente me la diede. Ma giunto all'ultimo piano vedo che egli tenta di baciarmi la mano. Subito la ritiro, ma non faccio a tempo. Allora gli dissi: «Don Bosco, con questo ha inteso umiliarsi o umiliarmi? ». Mi rispose: «Né l'una né l'altra cosa. E il motivo lo saprai a suo tempo».
Nella primavera del 1883 (Don Cagliero aveva 45 anni), Don Bosco, malandato in salute ma spinto a partire per la Francia contro il parere dei medici (aveva bisogno di elemosine per la chiesa di Roma), fa il suo testamento e dà ricordi a ciascuno dei membri del Consiglio superiore (della Congregazione). Venuto il mio turno, mi consegna una scatoletta sigillata e mi dice: «Questo è per te», e se ne partì. Qualche tempo dopo mi prese la curiosità di vederne il contenuto, e vedo un anello vescovile.
Avvenuta la mia elezione a vescovo di Magida nell'ottobre 1884, domandai a Don Bosco che mi volesse svelare il segreto di trent'anni prima. Mi rispose: «Te lo dirò alla vigilia della tua consacrazione». E fu alla sera di quel giorno che passeggiando solo con lui nella sua stanza, mi disse: «Ti ricordi della grave malattia che hai fatto quand'eri giovane?». Risposi: «Sissignore. Ricordo che venne per amministrarmi gli ultimi Sacramenti e che poi non me li ha amministrati. E mi disse che sarei guarito, e col mio breviario sarei andato lontano lontano, a lavorare nel sacro ministero di sacerdote e... non mi disse altro». «Bene ‑ soggiunse ‑. Entrando nella tua stanza con l'intenzione di prepararti al grande passo, vidi una colomba che svolazzando per la stanza portava un ramo d'ulivo nel becco, e fermatasi sul tuo capo, lo lasciò cadere. Quindi, mandando una gran luce per la stanza, scomparve. La mia intuizione, allora, fu che tu non saresti morto, e che la colomba col suo splendore significava la pienezza della grazia dello Spirito Santo, dalla quale saresti stato rivestito». Di più, avvicinandomi al tuo letto, lo vidi circondato da figure strane, le quali fissavano lo sguardo sul tuo volto e trepidanti sembravano domandare il tuo soccorso. E conobbi poi che erano le fisionomie dei selvaggi della Patagonia e della Terra del Fuoco».
Allora pregai Don Bosco che volesse, quella sera stessa durante la cena dei Salesiani, raccontare quella visione. E siccome non sapeva rifiutarsi, specialmente quando si trattava della maggior gloria di Dio e del maggior bene delle anime, raccontò, presente il Consiglio della Congregazione, le cose che ho sopra raccontato.
Miracolo a Marsiglia
Io ero presente quando a Marsiglia, nel 1881, don Bosco risanò una giovane quattordicenne da paralisi di nascita. I parenti l'avevano portata in braccio e l'avevano lasciata nella sala, in mezzo a più di duecento persone che aspettavano la benedizione di Don Bosco e la liberazione dai loro mali. Don Bosco, dopo la santa Messa, animò la fanciulla a confidare nella Vergine Ausiliatrice, le diede la benedizione e le comandò di alzarsi. Esitava la fanciulla per tema di cadere, e i parenti la volevano aiutare. Ma Don Bosco non lo permise dicendo: «Essa non ha bisogno di aiuto. Alzati e va' alla cappella a rendere grazie alla Madonna». Si alzò da sé e camminò con un poco di stento, perché non aveva ancora imparato a camminare; e fu alla cappella, dove ringraziò il Signore con altri devoti, che piangevano e lodavano il Signore. La vidi poi uscire dalla casa in piedi, e semplicemente appoggiata al braccio di sua madre.
Le forbici devote dei marsigliesi
Nei quindici giorni che trascorse a Marsiglia (alla fine del gennaio 1880), una enorme folla di ogni classe di persone desiderosa dei suoi consigli e della sua benedizione, si recava ogni giorno alla nostra casa, disposta ad aspettare anche dal mattino alla sera, purché potesse parlargli. Nel giorno della partenza c'erano ancora duecento e più persone che attendevano d'incontrarlo. Tutti desideravano avere un suo ricordo, e vidi molti tagliuzzare a pezzi la sua veste nera da prete e il suo mantello, e a nulla valsero le proteste. Don Bosco dovette uscire malconcio nelle vesti, e cambiarle nelle case di Saint‑Cyr e della Navarra. Liberati a stento da quella immensa folla e saliti in vettura noi due soli, ci dirigemmo ad Aubagne. Strada facendo Don Bosco, umiliato e confuso, mi disse: «Come è ammirabile il Signore, e come è grande la sua misericordia, che volle servirsi di un vaccaro dei Becchi per muovere tanta gente a operare le sue meraviglie!».
«Grandi funerali a corte»
Ricordo che nell'autunno del 1854, essendo la stagione ormai molto avanzata, dopo cena, trovandoci radunati molti giovani della casa, ci raccontò un sogno che aveva avuto la notte antecedente. Ci disse: «Mentre dal poggiolo stavo entrando nella mia camera, vidi un valletto del re in tenuta di corte, che rivolto a me disse ad alta voce: "Don Bosco, ho una grande notizia da darle!". "E quale?" dissi io. "Grande funerale in corte!" e se ne andò, mentre io volevo domandargli spiegazioni di questo suo annuncio». Noi, stupiti, ci siamo messi allora a discorrere interrogandoci a vicenda, se qualcuno avesse sentito dire che a Palazzo Reale ci fosse qualcuno ammalato. E ricordo che io pensai che dopo poco sarebbe morto qualche grande barone addetto alla corte.
Passati alcuni giorni, ecco che un'altra sera, trovandoci di nuovo radunati, Don Bosco ci dice: «Sapete che ho un'altra cosa strana da dirvi? Quel valletto del re è ritornato, e mi ha detto: "Don Bosco, non ha capito bene l'altra volta. Non ho detto grande funerale, ma grandi funerali in corte!" ».
Allora noi, più stupiti di prima, ci domandavamo che cosa volesse dire quell'annuncio. Don Bosco ad alcuni di noi svelò che quell'annuncio di morte erano castighi che il Signore mandava a Casa Savoia per i mali che aveva fatto e stava per fare alla Chiesa. E venimmo a sapere che Don Bosco aveva scritto e fatto scrivere al re stesso. E il re era adirato contro di lui, come udii un giorno dal marchese Fassati che era stato a corte, e aveva visto sul tavolo del re la lettera aperta di Don Bosco. In essa minacciava da parte del Cielo questi ed altri più gravi castighi, se il re avesse posto la sua firma alla legge che allora si discuteva sulla soppressione degli ordini religiosi.
So che Don Bosco, per qualche tempo, scrisse ancora al re, per distoglierlo dal porre la sua firma al decreto già passato alle Camere...
Intanto venne il gennaio del 1855, e morì la regina Maria Teresa, madre del re. Nello stesso giorno del funerale di Maria Teresa, abbiamo saputo che dalla Regia cappella della Sindone si era portato il Viatico alla regina Maria Adelaide, sposa del re. E otto giorni dopo moriva. Noi allora, attoniti e immersi nel lutto come tutta Torino, perché erano veramente due sante regine, dicevamo a Don Bosco: «Ecco avverato il suo sogno. Sono proprio stati grandi funerali, come ha detto il valletto di corte! ». Don Bosco rispose: «È vero. Sono proprio imperscrutabili i giudizi di Dio! E non sappiamo se con questi due funerali sarà paga la giustizia di Dio! ». Circa quindici giorni dopo moriva il fratello del re, duca di Genova, e un bambino figlio del re. So che Don Bosco scrisse altre volte ancora al re... Per cui il generale d'Angrogna, da parte del re, venne a dire a Don Bosco che la smettesse di scrivere a sua maestà, che già era adiratissimo.
Il racconto di don Branda
Era l'anno scolastico 1885‑1886. Io mi trovavo a Barcellona come direttore della casa detta Talleres Salesianos, aperta il 1°marzo 1884.
In quell'anno, cioè nel 1885‑86 (Don Branda aveva 44 anni), a causa del grande ampliamento dei laboratori e delle scuole, che contenevano 60 allievi interni e 300 esterni che frequentavano le scuole diurne e serali, scarseggiava il personale dirigente e sorvegliante. Domandai altro personale all'Oratorio di Torino, ma mi venne inviato scarso e insufficiente al bisogno. Allora pensai di fare di necessità virtù, occupando nell'insegnamento e nell'assistenza quei soggetti che giudicavo più idonei (alcuni non erano Salesiani).
Passarono i mesi di novembre, dicembre e gennaio con soddisfazione generale, senza aver conoscenza di disordini di qualche importanza.
Nella notte del 28, o 29 di quel mese (gennaio 1886) mentre stavo a letto addormentato, mi svegliò una voce sonora, del timbro che mi parve del nostro caro padre Don Bosco. La voce mi disse: «Don Branda! », con quel tono con cui era solito chiamarmi quando ero con lui a Torino. A quella chiamata mi svegliai, ma non apersi gli occhi... dicendo tra me e me: «Ho bisogno di dormire e non di sognare. Don Bosco è a Torino».
Passarono otto giorni, senza che io mi ricordassi né della chiamata né di Don Bosco né di altro. Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, mentre dormivo nello stesso luogo, mi venne fatta la stessa chiamata con voce distinta e sonora come la prima volta: «Don Branda! ». Mi destai. La stessa voce subito soggiunse: «Adesso non dormi, alzati». Obbediente al mio venerato superiore Don Bosco, mi alzai, e senza riflettere quale ora fosse, vidi la mia alcova (= le tendine bianche che circondavano il suo letto) illuminata come al mattino all'aurora. (...) Mi vestii. Indossai la veste nera e il collare bianco, presi la berretta in mano, tirai la tendina... e m'incontrai alla distanza di un metro con Don Bosco. Lo salutai e lo riverii, e non dubito di avergli baciato la mano secondo il mio solito. il soprabito. Mi rivolse la parola e mi disse: «La tua casa va abbastanza bene, sono soddisfatto di quanto stai facendo, ma...». Allora si rivolse alla sua destra, e ho visto un prete salesiano alquanto malinconico. Don Bosco mi disse che conveniva ispirargli maggior prudenza e ritiratezza. Più in là, in mezzo alla camera, vedo un maestro (N.A.) da Torino, non professo (cioè non salesiano, v. foglio 978), ...lo sguardo fisso al suolo, e alquanto distanti due giovani (N.P. e N.G.)... Indicandomi il maestro e i due giovani, Don Bosco soggiunse: « Questi, ingannati dal demonio, cercano di mandare in fuoco e in rovina la casa che è opera del Signore. (...) E tutti e tre propagano il mal parlare. Provvedi energicamente e allontanali quanto prima senza compassione!». Pronunciando queste parole, il suo volto si mostrava infiammato e corrucciato. (La testimonianza di don Branda segue raccontando che Don Bosco lo guidò a visitare la casa senza dire una parola). Ritornammo nella mia camera, e io sempre lo seguii e trovai la mia camera illuminata come prima, ma non c'era più nessuno.
Don Bosco mi salutò nella stessa maniera con cui mi salutava quand'ero a Torino all'Oratorio, e più non lo vidi. Mi trovai nelle tenebre, nell'oscurità della notte. Passai alcuni momenti senza darmi ragione di quanto era successo. Poi mi accorsi d'essere vicino allo scrittoio. Tirai il cassetto, entro cui tenevo i fiammiferi, e accesi il mio lume. Guardai l'ora: erano le due e mezzo dopo mezzanotte. Mi sedetti un poco a pensare e meditare su quello che era avvenuto, più infastidito dell'incarico datomi che non rallegrato della visita di Don Bosco. Presi il mio breviario e mi misi a recitarlo con non pochi sforzi per dargli la giusta attenzione. Dopo feci meditazione, e andai in cappella aspettando che suonasse la levata.
Nei giorni seguenti ebbi troppo da fare... senza compiere l'incarico ricevuto. Quantunque non avessi dubbi sull'apparizione di Don Bosco, non mi sentivo di dare esecuzione a quell'ordine, per timore di fare un passo falso (...). Ho però raddoppiato i mezzi di vigilanza, e lo stesso raccomandai ai miei subalterni... Io continuavo a celebrare la santa Messa e ad attendere alle mie ordinarie occupazioni; ma non potei celebrare ancora Messa che per tre giorni, che i rimorsi alla fine si mutarono in minacce così chiare e distinte alla mia coscienza da causarmi un vero tremito nella celebrazione della Messa, sentendomi una voce molto chiara e distinta, che non avrei più celebrato se non mettevo mano all'esecuzione degli ordini ricevuti. Finita quella Messa e fatto il ringraziamento, non meno agitato di quanto lo fossi durante la celebrazione, mi recai nella mia stanza e feci chiamare il sacerdote don Antonio Aime (questo prete salesiano aveva soltanto 25 anni, ed era stato ordinato prete l'anno prima. Sarebbe diventato un apostolo tra i lebbrosi della Colombia), prefetto della casa (seconda autorità dopo il direttore)... e lo incaricai di interrogare i due giovani.
Don Aime eseguì i miei ordini e tornò da me tutto spaventato e in lacrime, riferendomi le cose identiche raccontatemi da Don Bosco (senza che io gli avessi parlato dell'apparizione di Don Bosco). Avuta questa prova... feci chiamare il maestro, il quale casualmente prese il posto e l'atteggiamento che aveva mentre era presente Don Bosco. Fissandolo in faccia, non dubitai più di quanto avevo saputo, e gli rivolsi le parole: «Questo non me l'aspettavo da te...». Egli non chiese ulteriori spiegazioni, ma cadde in ginocchio e mi disse: «Glie l'ha scritto Don Bosco?». Fece questa domanda perché nell'Oratorio si sapeva che Don Bosco non di rado anche da lontano scriveva ai superiori di case salesiane quello che in esse avveniva anche di cose occulte. Risposi: «Non me l'ha scritto, ma me lo disse qui, dove sei tu». Allora si mise a supplicare il perdono (...).
Da quel momento studiai il modo più prudente per evitare il disonore di tutti... Dopo pochi giorni, i giovani furono riconsegnati alle famiglie, e il maestro allontanato (...).
Devo anche notare che in quel frattempo ricevetti una lettera di don Rua... In essa mi parlava di varie cose, e poi mise un poscritto che mi richiamò molto l'attenzione. Mi diceva: «Ieri, passeggiando con Don Bosco sotto i portici dell'Oratorio, ci raccontò di una visita che ti fece a Barcellona. Tu forse dormivi in quel momento». Al leggere queste righe mi stupii e impazientii per l'ironia se io dormivo in quel momento, e se avevo agito con fondamento e con effetto. Subito allora chiamai vari dei miei confratelli, e loro diedi a leggere la lettera, che li confermò ancor più nell'apparizione di Don Bosco, che io avevo loro raccontato (...).
Così ho deposto secondo verità, e così approvo, ratifico e giuro io Giovanni Branda sacerdote, testimone.