Il
Cavaliere di Dio
Ma il
cambiamento di Francesco non è ancora perfetto, perché i lacci della vanità
cercano nuovamente di farlo prigioniero. Un nobile
assisano, desideroso di soldi e di gloria, organizzò una spedizione per
andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco fu preso
dalla sete di avventura e dal desiderio di diventare cavaliere e si impegnò
per realizzare il suo progetto.
Ma una notte gli
apparve uno che, chiamatolo per nome, lo condusse in un grande palazzo, in
cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere, splendenti scudi
e simili oggetti di guerra. Francesco, incantato, pieno di felicità e di
stupore, domandò a chi appartenessero quelle armi e quel palazzo
meraviglioso. Gli fu risposto che tutto quel che vedeva, insieme al palazzo,
era proprietà sua e dei suoi cavalieri. Svegliatosi, s'alzò quel mattino
pieno di entusiasmo. Interpretando il sogno secondo criteri mondani,
fantasticava che sarebbe diventato un gran principe. Messosi dunque in
cammino, giunse fino a Spoleto e qui cominciò a non sentirsi bene. Mentre
riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto.
Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: «Chi può esserti
più utile: il padrone o il servo?». Rispose: «Il padrone». Quello riprese:
«Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per
il suddito?». Allora Francesco interrogò: «Signore, che vuoi ch' io
faccia?». Concluse la voce: «Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa
devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt'altro
senso».
Risvegliatosi, egli si mise a riflettere attentamente su questa rivelazione.
Mentre il sogno precedente, tutto proteso com'egli era verso il successo, lo
aveva mandato quasi fuori di sé per la felicità, questa nuova visione lo
obbligò a raccogliersi dentro di sé. Pensava e ripensava così intensamente
al messaggio ricevuto, che quella notte non riuscì più a chiuder occhio.
Spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto
ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli
rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo
cuore era cambiato. Non gl'importava più della spedizione in Puglia:
desiderava solo di conformarsi alla volontà di Dio. (FF 1399ss)
Francesco, ripara la mia Chiesa
Era già del tutto mutato nel cuore
quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina
e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entrò a pregare, si prostrò
devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia
divina, si ritrovò totalmente cambiato. Mentre egli era così profondamente
commosso, improvvisamente l'immagine di Cristo crocifisso dal dipinto gli
parlò, muovendo le labbra: «Francesco, - gli disse chiamandolo per nome -
va', ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Francesco pieno
di stupore, quasi perdette i sensi a queste parole, ma subito si dispose ad
obbedire e si concentrò tutto su questo invito.
Si prese cura di quella sacra immagine
e offrì denaro al sacerdote che viveva in quella chiesetta, perché non
rimanesse priva, neppure per un istante, dell'onore doveroso di un lume. Poi
si dedicò con impegno al resto, lavorando con intenso zelo a riparare la
chiesa. Perché, benché il comando del Signore si riferisse al restauro della
Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue, egli naturalmente non capì
subito la cosa, ma concretamente si impegnò come manovale a restaurare
quella piccola chiesetta in cui il Signore gli aveva parlato.
Da quel
giorno in poi si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso
e, come si può devotamente ritenere, le venerabili stimmate della Passione
gli si impressero profondamente nel cuore. Da allora, non riuscì più a
trattenere le lacrime ogni volta che il suo pensiero andava a contemplare la
passione di Cristo.
Una volta
camminava solitario nei pressi della chiesa di Santa Maria della Porziuncola,
piangendo e lamentandosi a voce alta. Un uomo, udendolo, suppose ch'egli
soffrisse di qualche malattia o dispiacere e, mosso da compassione, gli
chiese perché piangeva così. Disse Francesco: «Piango la passione del mio
Signore. Piango perché l’amore non è amato. E per amore di lui non voglio
vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo». Allora anche
quell'uomo si unì al lamento di Francesco. (FF 593; 1413)