La
gamba di Miguel Juan
di
Enrico Salomi (mensile Il Timone)
Nel
1617, a Calanda, nell’Aragona spagnola, nasce un certo Miguel Juan Pellicer,
figlio di contadini e contadino lui stesso, analfabeta, dotato di una fede
solida ed essenziale, devoto alla Vergine del Pilar di Saragozza. Lasciata la
famiglia per non pesare sul magro bilancio dei genitori, verso la fine di
luglio del 1637, mentre lavora tra i campi, un carro di frumento gli transita
su una gamba, proprio sotto il ginocchio, procurandogli la frattura della
tibia nella parte centrale. Tra dolori inenarrabili, vuole andare a Saragozza
per mettersi sotto la protezione della Vergine del Pilar. Cinquanta giorni di
viaggio e trecento chilometri sotto la canicola estiva, raccattando passaggi
qua e là. Quando arriva in città, praticamente moribondo, si trascina sui
gomiti fin nel santuario e qui si affida alla Vergine: ”pensaci Tu perché
sto per morire”. Con sega e scalpello – gli strumenti del tempo – gli
viene amputata la gamba, unica soluzione per salvargli la vita. Passa un anno
prima di uscire dall’ospedale con una gamba di legno, due stampelle e una
specie di patentino che gli dava la possibilità di esercitare la
”professione” del mendicante. Tutti i giorni, per due anni e mezzo,
davanti alla porta del santuario del Pilar, l’intera Saragozza gli passa
accanto, lo vede, si commuove, qualcuno lo aiuta; alla sera, quando il
santuario chiude, Miguel Juan si cosparge il moncone della gamba con un po’
di olio consumato dalle lampade del santuario, nonostante che i medici, da cui
è visitato periodicamente, lo ammoniscano inutilmente. Quando lo riconoscono
alcuni compaesani che sono a Saragozza per un pellegrinaggio, non potendo più
tenere nascosta la sua situazione, Miguel Juan decide di tornare dai genitori
a Calanda, circa 100 chilometri a sud di Saragozza. E qui, altro non può fare
che riprendere a mendicare. Il momento fatidico giunge alla sera del 29 marzo
del 1640. E` giovedì. Siamo tra le dieci e le undici di sera. Miguel Juan
cena con i genitori, due vicini di casa e un soldato di cavalleria
dell’Esercito Reale, che è di passaggio e a cui era stata data ospitalità.
Miguel Juan, dopo la povera cena, si congeda dalla compagnia e decide di
andare a coricarsi. Ripone la protesi di legno e le stampelle, va a dormire
nella camera da letto di mamma e papà, perchè aveva lasciato il suo
giaciglio abituale al soldato. Qualche tempo dopo, la madre entra nella camera
e, sentendo un profumo intenso ”come di Paradiso”, si accorge che da quel
mantello troppo corto che ricopre il figlio addormentato spuntano due piedi.
Giunge il padre, richiamato dalla donna. In principio pensano che si tratti
del soldato che ha sbagliato stanza, ma, sollevando la coperta e guardando
meglio, scoprono che quella persona è proprio il loro figlio. Miguel Juan, il
mutilato, dorme profondamente, ma ha riattaccata quella gamba che, due anni e
cinque mesi prima, gli era stata amputata. E non si tratta di una gamba
qualsiasi, ma proprio della sua, con tutte le caratteristiche e le cicatrici
del suo arto e con un circolino rosso nel punto in cui era avvenuta
1’amputazione. Svegliano il figlio. Stava sognando – dirà Miguel Juan –
di essere a Saragozza nella cappello della Vergine del Pilar e che si ungeva
la gamba segata con l’olio di una lampada, come era uso fare quando era in
quel santuario. Un miracolo straordinario, quello di un arto amputato
improvvisamente riattaccato, che solo Dio, l’autore e il padrone delle leggi
della natura può compiere. Se il fatto e vera, allora la conclusione si
impone: Dio esiste. Ma ci vogliono le prove. Le prove ci sono, eccome. E sono
tante, tutte concordi, ben fondate, ottimamente documentate, al punto che
Messori si spinge a dire: ”dovrebbe dubitare di tutta quanta la storia
umana, compresi i fatti più certi perchè più attestati, chi rifiutasse la
verità di quanta successo a Calanda quella sera di marzo della settimana di
Passione del 1640”. Vediamole in sintesi.
II
miracolo viene attestato solo sessanta ore dopo da tutte le autorità locali:
il vicario parrocchiale don Jusepe Herrero, il justicia (il giudice e insieme
il responsabile dell’ordine pubblico) Martin Corellano, il sindaco Miguel
Escobedo, il suo vice Martin Galindo e, soprattutto, il notaio reale Lazaro
Macario Gomez. In pochissimi giorni viene istituito un processa pubblico in
cui sfilano decine e decine di testimoni oculari, nel frattempo, viene
visitato il luogo dove era stata sepolta dai medici la gamba amputata, ma
viene trovato vuoto (come riportato da un Aviso Historico, un giornale del
tempo). Dopo quasi undici mesi di lavoro e con quattordici sedute pubbliche e
plenarie, si pronuncia la sentenza del processo di Saragozza in data 27 aprile
1641: ”Perciò affermiamo e dichiariamo che a Miguel Juan Pellicer,
contadino di Calanda, fu restituita la gamba che gli era stata amputata due
anni e cinque mesi prima; e che non fu un fatto di natura, ma opera mirabile e
miracolosa, ottenuta per intercessione della Vergine del Pilar”. I
ventiquattro testimoni oculari, scelti dal tribunale di Saragozza tra
innumerevoli possibili, possono essere suddivisi in cinque gruppi. Cinque sono
medici ed infermieri, e tra loro il chirurgo che amputo la gamba e i due
sanitari di Calanda che procedettero alla visita immediatamente dopo
l’evento. Cinque tra familiari e i vicini di casa. Quattro sono autorità
locali di Calanda, sopra ricordate. Quattro sono ecclesiastici, sia di
Saragozza che di Calanda. Sei ”vari”, tra cui l’oste, nella cui bettola
vicino al Pilar Miguel Juan, storpio, passava la notte quando rimediava
quattro soldi di elemosina e un altro oste, di Samper, dal quale aveva
alloggiato sulla strada del ritorno a casa. I testimoni sono scelti per dar
conto, sotto giuramento, delle differenti tappe della storia di Miguel Juan
Pellicer: la frattura, 1’amputazione, la mendicità al Pilar, il ritorno al
paese natale, 1’evento miracoloso del 29 marzo e i fatti dei giorni
successivi. E` così straordinario quanto è accaduto a Calanda, che il
giovane contadino Miguel Juan venne ricevuto addirittura dal re Filippo IV, il
più orgoglioso sovrano del mondo, il monarca dell’impero dove ”non
tramontava mai il sole”. Il sovrano, dopo aver sentito la sua testimonianza
e 1’inequivocabile sequenza di eventi da parte delle più importanti autorità
spagnole, si inginocchia davanti al contadino, gli bacia con devozione la
cicatrice, rimasta là dove l’arto era stato amputato e poi riattaccato.
A Calanda., Dio, attraverso l’intercessione di Maria Vergine, ha voluto lasciare un segno concreto, tangibile, indubitabile. Per usare le parole dell’arcivescovo di Saragozza ”com’e stato dimostrato con certezza nel processo, il detto Miguel Juan fu visto prima senza una gamba e poi con questa. Quindi non si vede come si possa dubitare di ciò”. Nessun dubbio, dunque: questa gamba riattaccata può essere un grimaldello per fare breccia nello scetticismo dell’uomo postmoderno. Ma Calanda dice molto anche a certi cattolici, soprattutto a quella intellighenzia la cui fede si vuole adulta e che bolla i miracoli e altre forme di religiosità popolare come favolette superstiziose, adatte per vecchiette e per bigotti.