Il nome di YHWH


Il nome di Dio, nell’ambiente ebraico, non va di norma pronunciato, a causa della sua sacralità; su questa linea si pone il secondo comandamento, Es 20,7, sebbene in questo caso non ci sia riferimento alla pratica della normale lettura della Bibbia, ma, piuttosto, si dovrà pensare a menzioni del nome in contesti apertamente offensivi (spergiuri, bestemmie). A causa di questa pratica, si è persa traccia, nel corso dei secoli, di come andasse pronunciato il nome di Dio.
Per quanto riguarda la sua scrittura, esso si trova nel TM con questa forma:



 

Si tratta essenzialmente di quattro lettere dell’alfabeto ebraico, scritte una dopo l’altra, che vanno lette, secondo il modo di scrivere e leggere ebraico, da destra verso sinistra. Già a prima vista si capisce così che la seconda e la quarta lettera sono uguali: si tratta della lettera he che ha suono di leggera aspirazione, ma che nella lettura normale è praticamente muta. Quando si vuole scrivere l’ebraico con una macchina per scrivere occidentale, che non è fornita dei caratteri ebraici, e quindi bisogna “traslitterare” l’ebraico, sostituendo convenzionalmente ogni lettera ebraica con una occidentale, si usa sostituire la he con la lettera “H”. La prima lettera invece, quella più piccola, a destra, è una iod  ; è la lettera più piccola dell’ebraico; è questa la lettera a cui si riferisce Gesù in Mt 5,18; siccome però i vangeli sono scritti in greco, ivi si parla della corrispondente lettera greca iota.. Questa lettera ebraica ha suono “ i “, e viene solitamente traslitterata con “Y”; altri usano “J”, altri ancora “I”. La terza lettera, che è simile alla iod, ma con il piede che scende fino alla base del rigo, è una vau; normalmente il nome di questa lettera è scritto secondo l’uso di lingua inglese, waw. Il suono di questa lettera oscilla tra “v” e “u”; quindi si tratta di un suono “u” non tanto esplicito, che si confonde con quello di una “v”. Si traslittera con “W”.
A questo punto, conosciamo il suono delle singole lettere che compongono la parola, la possiamo traslitterare, secondo il senso occidentale, da sinistra a destra, con YHWH, ma non possiamo ancora leggerla, perché, come sappiamo, la lettura degli ebrei non si limitava a questi suoni, ma aggiungeva delle ulteriori coloriture di suono, che non venivano scritte, perché da tutti intuite per abitudine; quando, tra il II e l’VIII sec. d. C., si vide che quest’abitudine andava peggiorando, così che nasceva il pericolo che si perdesse l’autentica pronuncia dell’ebraico, i masoreti inventarono altri segni che tenessero traccia, nel testo scritto, anche delle coloriture che ogni ebreo aggiungeva leggendo; questi segni, che corrispondono genericamente al suono delle nostre vocali, sono appunto chiamati vocali.
Al momento di inserire le vocali nel nome di Dio, i masoreti dovettero tener presente un altro fatto: era pratica normale della lettura della Bibbia, per la sacralità del nome divino, non leggere il nome stesso, ma dire al suo posto un’altra parola. Normalmente questa parola è quella che risponde al significato di “Signore”, ed è scritta, senza vocali,


 

La prima lettera a destra è un’alef, ed ha suono praticamente muto; viene traslitterata con un segno di apostrofo concavo verso sinistra, ’. La seconda lettera è dàlet, ha suono e traslitterazione “d”; la terza, nun, suono e traslitterazione “n”; la quarta è iod, già incontrata nel nome di Dio. Abbiamo quindi ’DNY. Per quanto riguarda la coloritura, cioè le vocali, i masoreti hanno posto sotto la prima lettera un segno vocalico di nome scevà, scritto secondo l’uso inglese shewà, che, da solo, corrisponde a un suono della voce che si sente, ma che non corrisponde con chiarezza precisa a nessuna delle nostre cinque vocali. Chiunque può pronunciare questo suono: basta emettere una voce cercando di non farla corrispondere a nessuna vocale precisa. Il segno ebraico corrispondente a questo suono è uguale ai nostri due punti, che vanno posti sotto la consonante, quindi sotto il rigo, così come la maggior parte delle altre vocali che i masoreti inventarono; questo per lasciare il più possibile inalterato il testo originale. Siccome il suono somiglia vagamente a quello della “e”, si usa traslitterarlo con una “e” piccola, rialzata, cioé in esponente. Quindi la scrittura sarebbe
 


Bisogna però aggiungere che la lettera alef ha una propensione verso il suono “a”; così il suono shewà, una volta sotto l’alef, si colora di “a” e va fatto precedere a sinistra da un trattino, che da solo è uno dei suoni “a” dell’ebraico. Abbiamo così -: da porre sotto alef:
 


La vocale da accoppiare alla seconda consonante, “d”, è “o”, che è un puntino da porre stavolta sopra la consonante, a sinistra. La terza vocale è un’altra “a”, di forma grafica simile ad una piccola T, che va posta sotto la “n”. Abbiamo perciò
 


Se alla traslitterazione delle consonanti ’DNY aggiungiamo quella delle vocali, abbiamo ’ADONAY. Questa è la parola che il lettore doveva far finta che fosse scritta al posto del nome di Dio. Come assicurarsi che il lettore non dimenticasse mai di operare questa sostituzione nella lettura ad alta voce? Mettere una nota sul margine della pagine (= masora marginalis o parva per il caso di qerè-ketib), per tutte le ricorrenze del nome di Dio, risultava complicato, a causa della grande frequenza di questa parola nella Bibbia; i masoreti pensarono allora di porre vicino alle lettere del tetragramma (= le quattro lettere)
 


non le vocali sue proprie, ma le vocali della parola che in realtà bisognava leggere, cioè ’ADONAY. Vediamo come appare il tetragramma se vi aggiungiamo le vocali di ’ADONAY: dobbiamo tener presente che lo shewà, trasferendosi da sotto l’alef a sotto la iod, perde la sua colorazione di “a”, e ritorna ad essere “incolore”, quindi soltanto i due puntini:
 


Adesso proviamo a traslitterare: avevamo YHWH, che con le vocali di ’ADONAY è diventato YeHOWAH. L’ebreo naturalmente conosceva la lettura originale del nome di Dio e si accorgeva di trovarsi di fronte ad una parola apparentemente assurda; proprio l’assurdità della parola gli faceva ricordare che doveva dire ADONAY, invece del nome di Dio. Come se un italiano, incontrando la scritta DIOE, si ricordasse di dover dire SIGNORE, invece che DIO, proprio perché glielo ricorda l’assurdità della parola.
Una persona non ebrea, che sappia appena leggere l’ebraico così com’è, senza tener conto di quanto abbiamo detto, evidentemente, leggendo ad alta voce, leggerà esattamente ciò che è scritto, cioè “ieova”. Un ebreo, sentendo una lettura del genere, si metterebbe a ridere, oppure si offenderebbe perché vedrebbe gettato un suono grottesco sul nome di Dio, esattamente come noi rideremmo o ci offenderemmo se un estraneo si ostinasse ipoteticamente a leggere “dioe” invece che “signore”.
Gli studiosi si sono chiesti se sia possibile risalire a come si pronunciava il nome di Dio prima che esistesse la regola di sostituirlo con Signore. Dice a questo proposito il vocabolario di Brown-Driver-Briggs (nostra traduzione con aggiunte esplicative): “la pronuncia Jehovah era sconosciuta fino al 1520, quando fu introdotta da Galatino; ma fu contestata da Le Mercier, J. Drusius, e L. Capellus, come contraria alla grammatica e alla storia. Il tradizionale ‘Iaße di Teodoreto ed Epifanio, il suffisso -iau e il prefisso Io- di alcuni nomi propri composti (ricorrenti nella Bibbia) e la forma (del nome di Dio) contratta Iah, sono tutti elementi che fanno propendere per Iahweh… Molti studiosi spiegano Iahweh come forma grammaticale Hiphil di Hawàh (= haiàh) = “colui che porta all’esistenza, colui che dona vita, creatore”.