IL CANONE DELLA BIBBIA

 

Per la chiesa cattolica il canone biblico si può dire definitivamente stabilito in maniera dogmatica al Concilio di Trento l’8 aprile 1546, con il decreto De canonicis Scripturis; tale decreto fu in realtà solamente la ripetizione dell’elenco dei libri canonici contenuto nel Decretum pro Iacobitis del precedente Concilio di Firenze (4 febbraio 1441). Tuttavia, le prime decisioni conciliari sul canone biblico che ci sono pervenute risalgono agli antichi concili africani di Ippona (393) e Cartagine (397 e 419), cui prese parte Agostino, i quali riportano un canone identico a quello tridentino. Gli atti del concilio di Ippona sono perduti, ma abbiamo il suo sommario che venne letto ed approvato a Cartagine (397):

 

“Oltre alle Scritture canoniche nulla dev’essere letto sotto il nome di divine Scritture. E le scritture canoniche sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, Giobbe, Salterio di David, cinque libri di Salomone [Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico], i dodici Profeti [i minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia], Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele, Tobia, Giuditta, Ester, i due di Esdra [Neemia ed Esdra], i due dei Maccabei. Del Nuovo Testamento quattro libri di Evangeli, un libro di Atti degli Apostoli, tredici lettere di Paolo apostolo, una del medesimo agli Ebrei, due di Pietro, tre di Giovanni, una di Giacomo, una di Giuda, l’Apocalisse di Giovanni”

 

Di conseguenza per la Chiesa Cattolica il canone, ovvero l’elenco dei libri che fanno parte delle Sacre Scritture della Bibbia, è espresso chiaramente dal Concilio di Trento, secondo quanto fissato dal Concilio di Firenze e, prima, da alcuni concili africani del IV secolo.

Nella definizione tridentina furono riconosciute canoniche anche parti da alcuni allora contestate, come la finale lunga del Vangelo di Marco (Mc 16,9-20) e l’episodio dell’adultera (Gv 7,53-8,11), che invece i Protestanti o omettono o inseriscono tra parentesi. In generale però il NT si presenta oggi sostanzialmente identico nelle Bibbie protestanti e in quelle cattoliche.

La tradizione cristiana successiva, almeno a partire da un certo momento, ha sentito il complesso dei libri canonici del NT come un tutto unitario. E questo vale anche per noi, sebbene resti valida l’esigenza di tener conto del contesto culturale e dei rapporti possibili con la produzione contemporanea.

Complessa e molto studiata è la questione della fissazione del canone del NT, ossia del processo con cui si è stabilito che certi libri dovevano essere considerati «normativi» per i cristiani, dovevano quindi far parte della Sacra Scrittura, al pari dell’AT. Al tempo di Paolo e degli autori del NT, ma ancora oltre, con «Scrittura» si intendeva solo l’AT.

Nel periodo in cui gli scritti del NT furono composti (tra seconda metà del I sec. e inizio del II sec.), e successivamente, fiorì una vasta produzione di scritti apocrifi e di quegli scritti di ispirazione biblica, che denominiamo «Padri apostolici». Possiamo constatare che nei primi secoli della Chiesa la valutazione sulla canonicità e non canonicità è oscillante per quanto riguarda scritti appartenenti a tutti questi ambiti, per cui alcuni scritti oggi entrati nel canone non erano universalmente accettati, mentre talora scritti oggi esclusi (apocrifi o Padri apostolici) venivano considerati come Sacra Scrittura.

Possiamo cercare di ricostruire queste valutazioni attraverso le citazioni e i giudizi dei primi autori cristiani e attraverso i primi tentativi espliciti di classificazione. Ma i dati non sono sempre chiari e si prestano a interpretazioni varie. Quello che è certo è che le prime collezioni parziali hanno riguardato le lettere di Paolo (alcune) e i Vangeli.

1. Periodo dei Padri Apostolici e dei primi apologisti (fino al 175 circa).

Gli scritti dei Padri più antichi (detti «Padri Apostolici», ovvero «contemporanei agli Apostoli») testimoniano una cognizione dell’esistenza di certi libri che in seguito formeranno il NT, più di una volta citati. Queste citazioni e allusioni inducono a pensare che essi riconoscessero a tali libri una autorità; ciò sembrerebbe avvalorato dal fatto che, benché raramente, essi paiono applicare a passi del NT le formule già in uso per introdurre quelli canonici dell’AT («la Scrittura dice» oppure «è scritto»). Tutti gli scritti che oggi fanno parte del canone sono menzionati nel complesso da questi Padri, eccetto la III lettera di Giovanni; ma la sua estrema brevità (13 versetti in tutto) ed il contenuto dottrinalmente trascurabile, spiega facilmente come non sia capitato agli autori di questo periodo l’occasione di nominarla.

Verso la II metà del II secolo la tradizione orale, col passar del tempo, rischia di divenire sospetta ed incontrollabile, e si impone l’esigenza di scritti accettati che la trasmettano fedelmente. Inizia qui il passaggio dalla tradizione orale al riconoscimento di una tradizione scritta autorizzata e normativa. Giustino, apologista e martire, consente di osservare questa tendenza: nel 150 ci informa che nelle adunanze liturgiche dei Cristiani «vengono letti i fatti memorabili degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, per quanto il tempo lo consenta. Poi il lettore si ferma ed il capo istruisce a viva voce, esortando all’imitazione di queste buone cose. Quindi tutti ci alziamo in piedi e leviamo preghiere». È chiaro che venivano letti indifferentemente libri dell’uno e dell’altro Testamento, con una certa preminenza degli scritti cristiani.

Un momento fondamentale di questo cammino verso il canone è l’opera dell’eretico Marcione, che verso il 144 elabora il primo abbozzo di canone noto: egli, che rifiutava tutto l’AT, in quanto espressione di un Dio diverso e inferiore, accettava solo come «Scrittura» gli scritti cristiani che meno erano influenzati dall’AT, quindi Paolo (10 lettere, escluse le pastorali ed Eb) e il Vangelo di Luca, discepolo di Paolo (ma con tagli: ad esempio, dei primi 2 capp.). Anche per reazione a questo canone, opera di un eretico, la Chiesa ha accelerato la fissazione di un canone ufficiale. Però le motivazioni devono essere state molte e complesse, e può aver influito anche la definizione del canone palestinese dell’AT, che è avvenuta verso la fine del I sec. d.C. (ma l’influsso può essere stato reciproco).

2. Periodo di assestamento (dal 175 al 450 circa).

Per quanto riguarda i libri cosiddetti deuterocanonici, ovvero Ebr, Giac, 2 Pt, 2 e 3 Gv, Gd e Ap, anch’essi sono citati nelle opere degli scrittori antichi del periodo precedente. Tuttavia, a partire dalla fine del II secolo, le fonti ci mostrano alcune incertezze sulla canonicità di questi scritti.

In Ireneo di Lione, verso il 180, troviamo riconosciuti come Scrittura i 4 Vangeli (il Vangelo è unico, ma tetramorfo), 13 lettere di Paolo (compresa Eb, ma esclusa Fm), gli Atti, 1 Pt (non 2 Pt), 1 e 2 Gv (non 3 Gv, non Gc e non Gd), l’Ap; inoltre viene accolto anche il Pastore di Erma (un Padre apostolico).

La prima lista ufficiale, databile nella seconda metà del II sec., è il Frammento o Canone Muratoriano, che conosciamo in latino (forse una traduzione dal greco) e probabilmente proveniva da Roma. Enumera 22 o 23 scritti del NT (l’incertezza sul numero deriva dal carattere frammentario del testo): i 4 Vangeli nell’ordine attuale, gli Atti, 13 lettere di Paolo (esclusa Eb), 3 lettere cattoliche (Gd e due di Gv, non Gc, non 1 Pt), l’Ap di Giovanni, ma anche l’Apocalisse di Pietro (un apocrifo). Contesta esplicitamente la canonicità del Pastore di Erma, che invece il contemporaneo Ireneo accoglie. Appare particolarmente strana l’omissione di 1 Pt, riconosciuta invece, oltre che da Ireneo, da quasi tutti i Padri del tempo: Tertulliano, Clemente Alessandrino, Ippolito.

“[...] ai quali pure egli (Marco?) fu presente e così ha (es)posto. Il terzo libro dell’evangelo (è quello) secondo Luca. Questo medico, Luca, preso con sé da Paolo come esperto di diritto (o esperto del viaggio, o della dottrina), lo compose dopo l’ascensione di Cristo secondo ciò che egli (Paolo) credeva. Neppure lui però vide il Signore in carne, e perciò cominciò a raccontare così come poteva ottenere (il materiale), dalla nascita di Giovanni. Il quarto degli evangeli (è quello) di Giovanni, (uno) dei discepoli. Poiché i suoi condiscepoli e vescovi lo esortavano, disse: «Digiunate con me per tre giorni da oggi e ci racconteremo a vicenda ciò che ad ognuno verrà rivelato». In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, (uno) degli apostoli, che Giovanni doveva mettere tutto per iscritto in nome proprio, mentre tutti (lo) avrebbero esaminato. E perciò, sebbene diversi princìpi siano insegnati nei singoli libri dei vangeli, ciò non costituisce però una differenza per la fede dei credenti, essendo tutte le cose spiegate dall’unico e normativo Spirito: ciò che riguarda nascita, passione, risurrezione, vita sociale con i suoi discepoli, la duplice venuta, dapprima, disprezzato nell’umiltà, che è già avvenuto, la seconda volta, illustre, con potere regale, che deve (ancora) avvenire. Che c’è di strano, dunque, se Giovanni tanto costantemente presenta anche nelle sue lettere delle particolarità, dato che dice di se stesso: «Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie e che le nostre mani hanno toccato, queste cose abbiamo scritto a voi» (1 Gv 1,1 ss.). Così non solo egli si professa testimone oculare ed auricolare, ma anche scrittore di tutte le cose mirabili del Signore, per ordine. Gli Atti poi di tutti gli Apostoli sono scritti in un unico libro. Luca raccoglie per l’ottimo Teófilo le singole cose che sono state fatte in presenza sua e lo fa vedere chiaramente omettendo la passione di Pietro e anche la partenza di Paolo dall’Urbe (= Roma), per la Spagna. Le lettere di Paolo poi rivelano esse stesse, a chi vuol capire, da che località e in che circostanza sono state inviate. Prima di tutte ai Corinzi, vietando l’eresia dello scisma; poi ai Galati (vietando) la circoncisione; poi ai Romani (spiega) esattamente l’ordine delle Scritture e che Cristo è il loro principio. Delle quali (lettere) è necessario che parliamo singolarmente. Lo stesso beato apostolo Paolo, in ciò seguendo la regola del suo predecessore Giovanni [cfr. sette lettere di Apoc cap. 2-3: si veda più avanti], scrive nominativamente a sole sette chiese in quest’ordine: ai Corinzi la prima (lettera), agli Efesini la seconda, ai Filippesi la terza, ai Colossesi la quarta, ai Galati la quinta, ai Tessalonicesi la sesta, ai Romani la settima. Sebbene sia tornato a scrivere ai Corinzi e ai Tessalonicesi per correggerli, si vede che una sola chiesa è diffusa per tutta la terra. Perché anche Giovanni scrive nell’Apocalisse a sette chiese, ma parla a tutte. Ma una a Filémone e una a Tito e due a Timóteo (le scrisse) per affetto e amore. Sono ritenute sacre per l’onore della Chiesa cattolica, per il regolamento della disciplina ecclesiale. Circola anche una (lettera) ai Laodicesi, un’altra agli Alessandrini, falsificate col nome di Paolo dalla setta di Marcione, e molte altre cose che non possono essere accettate nella chiesa cattolica. Non conviene che il fiele sia mescolato con il miele. Però una lettera di Giuda e due con la soprascritta "di Giovanni" sono ricevute nella Chiesa cattolica, come pure la Sapienza scritta in onor suo dagli amici di Salomone. Riceviamo anche le Apocalissi di Giovanni e di Pietro soltanto. Alcuni di noi però non vogliono che questa sia letta nella chiesa (= assemblea). Il Pastore l’ha scritto poc’anzi, nella nostra città di Roma, Erma, mentre sedeva sulla cattedra della chiesa della città di Roma il vescovo Pio, suo fratello. Perciò conviene che sia letto, però non si può leggere pubblicamente nella chiesa al popolo, né tra i profeti il cui numero è completo, né tra gli apostoli della fine dei tempi. Non accettiamo del tutto nulla di Arsinoo o Valentino o Milziade, che scrissero anche un nuovo libro di Salmi per Marcione insieme con Basilide asiano, fondatore dei Catafrigi […]”.

 

Tertulliano (150-222 circa), che considera il Nuovo Testamento «strumento evangelico ed apostolico» ne cita esplicitamente come canonici 23, e non menziona 2 Pt, Gc, 2 e 3 Gv, forse per mancanza d’occasione. Il Pastore di Erma inizialmente lo ritiene utile, poi lo rigetta come falso e apocrifo.

Tenuto conto delle testimonianze dei Padri, si può constatare che verso il 200 in Occidente è ormai solido il nucleo costituito dai 4 Vangeli, dagli Atti, da 13 lettere di Paolo, dall’Apocalisse di Giovanni.

Per le lettere cattoliche vi è incertezza da parte di alcuni, e la Lettera agli Ebrei sarà riconosciuta solo verso il 380, perché non era attribuita generalmente a Paolo ed era abusata dagli eretici, specie montanisti e novaziani. La Lettera di Giacomo entrerà definitivamente solo verso il 350.

In Egitto Clemente di Alessandria (150-215 circa) mostra di conoscere ed accettare come canoniche tutte le Scritture, a parte forse Gc, 2 Pt e 3 Gv.

Origene (185-254 circa), che con i suoi numerosi viaggi poté accertarsi con esattezza delle tradizioni in uso nelle varie regioni, ci restituisce un quadro preciso della situazione. Egli divide il canone in scritti accettati da tutti e dovunque (i 4 vangeli, le 13 lettere paoline, At, 1 Pt, 1 Gv e Ap), e scritti discussi (2 Pt, 2 e 3 Gv, Ebr e Gc). In seguito egli cita anche alcuni libri apocrifi, bollandoli come eretici. È difficile stabilire quale fosse però il suo parere personale.

Nella sua Storia ecclesiastica, composta tra la fine del III sec. e l’inizio del IV, Eusebio di Cesarea riporta in proposito le opinioni dei più importanti Padri precedenti e delinea sistematicamente la situazione al suo tempo (cfr. III,25). Sappiamo così che ancora nel III secolo mancava un canone preciso: venivano usati tutti i 27 libri del nostro canone, ma anche molti altri: Lettera dello Pseudo-Barnaba, Apocalisse di Pietro, Didachè, Pastore di Erma, Atti di Paolo, ecc. Eusebio cerca di fare distinzioni precise, ma non senza incertezze; egli eredita la distinzione origeniana tra scritti homologoúmena («sui quali vi è accordo»), antilegómena («discussi»), ed eretici.

 

“Arrivati a questo punto, ci sembra ragionevole ricapitolare (la lista) degli scritti del Nuovo Testamento di cui abbiamo parlato. E, senza alcun dubbio, si deve collocare prima di tutto la santa tetrade (= quaterna) degli evangeli, cui segue il libro degli Atti degli Apostoli. Dopo questo, si debbono citare le lettere di Paolo, a seguito delle quali si deve collocare la prima attribuita a Giovanni e similmente la prima lettera di Pietro. A seguito di queste opere si sistemerà, se si vorrà, l’Apocalisse di Giovanni, su cui esporremo a suo tempo ciò che si pensa. E questo per i libri universalmente accettati.
Tra gli scritti contestati, ma tuttavia riconosciuti dalla maggior parte, c’è la
lettera attribuita a Giacomo, quella di Giuda, la seconda lettera di Pietro e le lettere dette seconda e terza di Giovanni, che sono dell’evangelista o di un altro che porta lo stesso nome.

Tra gli apocrifi (lett. bastardi, spuri), vengono anche collocati il libro degli Atti di Paolo, l’opera intitolata Il Pastore, l’Apocalisse di Pietro e dopo questi la lettera attribuita a Barnaba, i cosiddetti Insegnamenti degli Apostoli (Didaché), poi, come s’è già detto, l’Apocalisse di Giovanni, se si vuole. Qualcuno, come ho già detto, la rifiuta, ma altri la uniscono ai libri universalmente accettati. Tra questi stessi libri alcuni hanno ancora collocato il Vangelo secondo gli Ebrei, che piace soprattutto a quegli Ebrei che hanno creduto a Cristo.

Pur stando così le cose per i libri contestati, tuttavia abbiamo giudicato necessario farne ugualmente la lista, separando i libri veri, autentici e accettati secondo la tradizione ecclesiastica, dagli altri che, a differenza di quelli, non sono testamentari (= vincolanti), e inoltre contestati, sebbene conosciuti, dalla maggior parte degli scrittori ecclesiastici; affinché possiamo distinguere questi stessi e quelli che, presso gli eretici, sono presentati sotto il nome degli apostoli, sia che si tratti dei vangeli di Pietro, di Tommaso e di Mattia o di altri ancora, o degli Atti di Andrea, di Giovanni o di altri apostoli. Assolutamente nessuno mai tra gli scrittori ecclesiastici ha ritenuto giusto di ritrovare i loro ricordi in una di queste opere. D’altra parte, il carattere del discorso si allontana dallo stile apostolico; il pensiero e la dottrina che essi contengono sono talmente lontani dalla vera ortodossia da poter chiaramente provare che questi libri sono delle costruzioni di eretici. Perciò non si debbono neppure collocare tra gli apocrifi, ma si debbono rigettare come del tutto assurdi ed empi” (Historia Ecclesiastica III, 25, 1-7).

 

Colpisce l’oscillazione a proposito dell’Ap di Giovanni, che viene collocata sia tra gli scritti più autorevoli e indiscussi, sia tra quelli dubbi. In questo caso Eusebio è influenzato dalle osservazioni critiche del vescovo Dionigi Alessandrino, che riteneva, per ragioni stilistiche e contenutistiche, impossibile attribuirla al medesimo autore del Vangelo e di 1 Gv e supponeva potesse essere opera di un altro Giovanni. Eusebio riporta per esteso tali osservazioni di Dionigi nel libro VII, cap.25 della sua Storia ecclesiastica, e inoltre elabora ulteriori argomenti a favore dell’ipotesi del secondo Giovanni o Giovanni presbitero (III, 39,5-6). La sua posizione influenzerà profondamente l’atteggiamento riservato dei Padri greci successivi a proposito della canonicità dell’Apocalisse.

Un uso più estensivo di libri canonici, in Oriente, è testimoniato anche da alcuni codici biblici antichi, come il Sinaitico (S o ‘alef), del IV sec., e l’Alessandrino (A), del V sec.: contengono, insieme ai libri che oggi appartengono al NT, scritti come la Lettera dello Pseudo-Barnaba, il Pastore di Erma (in S), le due lettere attribuite a Clemente Romano (in A).

Il primo a portare il canone a conclusione in Oriente fu Atanasio di Alessandria in una lettera pasquale del 367: egli per primo enumera i 27 scritti del NT come i soli canonici, senza registrare dubbi di sorta; ammette che si usino nella catechesi (ma non nelle letture liturgiche ufficiali) anche Didachè e Erma, ma non li inserisce nel canone.

Tuttavia alcune lettere cattoliche e l’Apocalisse continuarono ad essere rifiutate in alcune parti dell’Oriente: tra le lettere cattoliche 2 Pt, 2 e 3 Gv, Gd furono accolte in Siria solo nel V-VI sec.; lunga fu l’emarginazione dell’Ap, che durò fino al VI-VII sec. e oltre, ma si tratta di casi isolati.

Le principali cause di dubbio sulla canonicità degli scritti poi detti deuterocanonici, sopra elencati, sono:

La circolazione di apocrifi, che rendeva alcune Chiese diffidenti verso i libri la cui canonicità ad esse non constava con certezza;

La brevità eccessiva ed il non rilevante valore dottrinale di alcuni scritti (2 e 3 Gv, Gd). Giuda inoltre pareva accreditare l’apocrifo veterotestamentrio di Enoc;

L’uso che alcune sette ereticali facevano della lettera agli Ebrei e dell’Apocalisse;

La difficoltà di comunicazione tra le Chiese. La Chiesa siriaca, è quella che più a lungo mantenne dubbi circa 5 libri che ignorava.

3. Periodo dell’unanimità (dal 450 circa in poi).

Dalla II metà del V secolo c’è un consenso unanime sui 27 libri del NT. Rimane solo il caso della Chiesa sira, che raggiunge l’accordo più tardi, colla versione filosseniana della Bibbia (secolo VI).

Come detto, la lettera festale di Atanasio del 367 è la prima a dichiarare che l’ambito del canone del NT è costituito esattamente dai 27 libri oggi accettati come canonici. Le prime decisioni conciliari, invece, sono quelle di Ippona (393) e Cartagine (397 e 419), con il medesimo canone di Atanasio, che diverrà poi quello della Chiesa Cattolica.

 

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